Iran: dopo le urne tutti pronti
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Più di 59 milioni di iraniani saranno chiamati alle urne domani, venerdì 18 giugno, per eleggere il nuovo presidente, alla scadenza del secondo mandato del riformista Hassan Rohani. A poche ore dall’apertura dei seggi tre dei sette candidati originari si sono ritirati, rendendo sempre più concreto lo scenario di una vittoria di Ebrahim Raisi, l’ultraconservatore capo della magistratura. A quest’ultimo gli ultimi sondaggi disponibili attribuiscono il 57,3 per cento dei consensi, contro l’appena 5,8 per cento dell’ex comandante dell’esercito del Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica, Mohsen Rezaei, il 2,8 per cento del riformista ex governatore della Banca centrale, Abdolnasser Hemmati, e il 2,2 per cento di Amir Hossein Ghazizadeh-Hashemi. Il sondaggio, elaborato dall’emittente iraniana in lingua inglese “PressTv”, prevede un’affluenza del 46 per cento, un ampio 18,3 per cento di elettori indecisi e un 9 per cento di possibili schede bianche. Nessuno dei candidati sembra in grado di competere con Raisi: la selezione dei candidati, effettuata dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione, aveva escluso volti più moderati e potenzialmente più popolari, su tutti l’ex presidente del Parlamento, Ali Larijani, e l’attuale vicepresidente riformista, Eshaq Jahangiri. L’evidente sbilanciamento delle scelte del Consiglio ha spinto perfino Rohani a chiedere personalmente a Khamenei di garantire “maggior concorrenza” alle elezioni. La Guida suprema, che in teoria ha l’ultima parola sulla nomina dei candidati, ha denunciato un possibile “torto” ai danni di alcuni candidati, probabilmente lo stesso Larijani, ma non ha ribaltato la decisione del Consiglio, spianando così la strada a una vittoria di Raisi, considerata anche la mancata candidatura di Mohammad Javad Zarif, popolare e carismatico ministro degli Esteri colpito da uno scandalo dopo la pubblicazione di un’intervista riservata in cui criticava il peso eccessivo esercitato dai pasdaran sulla politica, anche estera, iraniana. E proprio sulla politica estera una presidenza Raisi potrebbe incidere maggiormente e allo stesso tempo essere attesa dall’amministrazione Biden. La prosecuzione dei rapporti con i sauditi potrebbe non essere messa in discussione, dato il coinvolgimento diretto dell’intelligence nella mediazione. Ma la tenuta di un eventuale nuovo accordo sul nucleare potrebbe essere compromessa dal mantenimento della durezza delle sanzioni e delle politiche statunitensi. Da vice procuratore di Teheran, Raisi ha legato il suo nome nel 1988 all’esecuzione di migliaia di membri dei Mujaheddin del popolo iraniano, ora trasferiti con armi e bagagli direttamente dagli Stati Uniti in Albania e in Francia, pronti per nuovi attentati e rivoluzioni necessarie all’uopo.
☀️ A cura di Margherita Furlan
☀️ Con la collaborazione di Fabio Frabetti, Jeff Hoffman, Gianmarco Maotini, Fabio Belli, Gionata Chatillard
☀️ Editing di Mattia Di Nunzio
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