Le massomafie e l’evoluzione della ‘Ndrangheta secondo Giuseppe Lombardo
- di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari –
Il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria ospite al Festival Trame
“La componente apicale riservata trasforma la ‘Ndrangheta in un contropotere che allarga i suoi orizzonti operativi fino ad inglobare funzioni pubbliche che, solo in apparenza, continuano ad essere gestite da organi amministrativi e politici, ma diventano paravento di logiche deviate ed evolute pensate e rese operative da sistema mafioso, la cui componente apicale opera stabilmente all’interno delle istituzioni”. Con queste parole il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nel corso della requisitoria del processo Gotha, aveva descritto come la criminalità organizzata calabrese avesse compiuto un salto ulteriore all’interno del Sistema criminale che opera nel nostro Paese.
Ieri il magistrato, ospite a Lamezia Terme di “Trame”, Festival dei libri sulle mafie giunto alla sua decima edizione organizzato dalla Fondazione Trame e dall’Associazione antiracket, è tornato ad affrontare l’argomento nel dibattito con John Dickie, professore dell’University College Londra (intervenuto in videocollegamento) e il giornalista de “Il Dubbio”, Rocco Vazzana.
Perché il rapporto tra massonerie e mafie è un rapporto complesso che si è manifestato con sempre più insistenza nel corso delle indagini degli ultimi anni, a partire dalla nota inchiesta “Olimpia”, che svelò al mondo l’esistenza della “Santa”.
Rispetto agli elementi raccolti in quelle indagini, oggi, si possono ricavare ulteriori risposte proprio grazie al lavoro compiuto dalla Procura di Reggio Calabria.
“Olimpia – ha ricordato Lombardo – è la più importante operazione antimafia degli anni Novanta della Dda di Reggio Calabria e ricostruisce accadimenti avvenuti 15 anni prima. Le risposte, che noi oggi diamo a circa 50 anni di distanza rispetto a quello che la ‘Ndrangheta stessa ha definito come componente ‘invisibile, riservata o massonica’, sono rispetto all’evoluzione di un fenomeno che è la componente più importante, non solo all’interno del sistema ‘Ndrangheta, ma di un sistema criminale che coinvolge anche altri componenti”.
Nella sua analisi Lombardo non ha potuto non ricordare il contributo offerto da Leonardo Messina, tra gli ultimi collaboratori di giustizia gestiti da Paolo Borsellino prima di morire: “Messina, nel luglio 1992 e poi qualche mese dopo in Commissione antimafia spiegò che il problema non è Cosa nostra, o la ‘Ndrangheta o le varie componenti criminali che il Paese vive sulla sua pelle, ma il problema è il sistema criminale unico che abbraccia le grandi mafie e che diventano parte di un tutto molto più pericoloso. Il 4 dicembre 1992, ai commissari che lo sentivano in audizione, Messina disse: ‘Guardate che cosa nostra non è la mafia siciliana ma l’insieme di tutte le componenti mafiose nazionali che diventano sistema. Un sistema particolarmente evoluto”.
L’evoluzione dalla mafia tradizionale all’alta mafia
Quell’evoluzione, che ha avuto i suoi natali negli anni Settanta, si svilupperà ulteriormente nel periodo che dal 1984 arriva fino al 1994, attraversando gli anni delle stragi, in un disegno ordito dai componenti di vertice di quel sistema per entrare all’interno delle stesse Istituzioni dello Stato. E questa evoluzione, per prima cosa, va riconosciuta. “Dobbiamo cambiare i nostri occhi – ha proseguito Lombardo – soprattutto cercando di riconoscere il sistema mafioso ben oltre le caratteristiche di base. Non tutti i fenomeni connessi ai sistemi corruttivi sono estranei all’alta mafia. Sottolineo alta mafia perché spesso e volentieri si legge sui giornali di ‘altra mafia’, ma è un’alta mafia. Un sistema che cresce di livello specie quando capisce che in determinati territori, non può esistere alta mafia se non con il contatto con le istituzioni dello Stato. E quando parlo di istituzioni dello Stato parlo di componenti infedeli all’interno anche di organi statali.
E lì la componente massonica trova spazio per dare sfogo al sistema criminale evoluto che, purtroppo, noi oggi raccontiamo con qualche anno di ritardo”.
L’unicità della ‘Ndrangheta
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria nel suo intervento ha tenuto a precisare che, pur muovendosi all’interno di un unico sistema mafioso criminale che si muove “in maniera integrata” e che non va letto come insieme di componenti separate tra loro, la ‘Ndrangheta in sé ha una sua unitarietà, ma non basta a descrivere il fenomeno perché l’unitarietà “va oltre la ‘Ndrangheta”.
Secondo Lombardo un ruolo chiave viene rivestito proprio dalla comunicazione: “In questo ambito sono importanti tre termini da adottare: formazione, informazione e disinformazione. Bisogna formare, perché solo attraverso percorsi formativi evoluti è possibile riconoscere la nuova veste dei fenomeni criminali di tipo mafioso. Bisogna informare perché attraverso i percorsi di conoscenza tutti siamo messi in grado di capire oggi cosa è mafia e che cosa non lo è. Oggi le caratteristiche tradizionali degli uomini di mafia non esistono più per forza di cose. E la disinformazione diventa pericolosissima nel momento in cui le componenti mafiose agiscono come agenzie disinformati per nascondere agli occhi più attenti, quello che sono diventate”.
Per il magistrato c’è il rischio che “soggetti realmente apicali, ma sconosciuti alla base, invece di essere processati esattamente per quel ruolo, come uomini di vertice di un sistema particolarmente stratificato, possono essere processati e condannati come concorrenti esterni. Questo è un pericolo enorme che nell’evoluzione del contrasto alle mafie non si deve più correre.
Tutti dobbiamo essere in grado di lavorare sulla base di indicatori nuovi che siano in grado di scattare una fotografia , un negativo da sviluppare, aderente a ciò che il fenomeno mafioso è diventato oggi”. Anche per questo, secondo Lombardo, potrebbe essere questo il tempo per una discussione ed un rinnovamento della normativa antimafia sul 416 bis. Certamente resta uno strumento straordinariamente efficace e universalmente riconosciuto oltre i confini nazionali come la norma che consente un evoluto contrasto alle mafie, ma è chiaro che “le mafie dal 1982 ad oggi si sono evolute così come si è evoluto il modo di contrastare i fenomeni mafiosi in Italia e all’estero.
E’ necessario, a mio modo di vedere, cambiare approccio investigativo rispetto determinati fenomeni per ottenere determinate risposte”.
Così, ha proseguito Lombardo, “oggi siamo consapevoli che le grandi componenti mafiose si manifestano in maniera sempre nuova, meno visibile e maniera sofisticata. Siamo sicuri che il 416 bis oggi sia perfettamente aderente a quelle che sono le nuove manifestazioni mafiose? Io qualche dubbio lo ho, ma non significa stravolgere una norma fondamentale come quella. Discutere di quelle che sono le caratteristiche delle grandi mafie del terzo millennio in relazione alla struttura dell’articolo 416 bis non deve essere precluso. Siamo tutti chiamati a riflettere sugli strumenti a nostra disposizione per renderli efficaci. E una discussione, conservando il buono della norma, è possibile avviarla”.
Chi sono i riservati?
Una delle domande poste nel corso della serata è proprio sulla possibilità di individuare chi si trova dietro la componente riservata. Sul punto un contributo importante lo hanno dato tanto i collaboratori di giustizia quanto gli stessi mafiosi intercettati nel corso delle varie indagini. Sono loro a raccontare l’esistenza di un livello governato da regole e logiche massoniche.
All’interno, ha spiegato Lombardo con cura, vi sono quei soggetti appartenenti alla “’Ndrangheta che conta e che si interfaccia con la medesima componente di tipo riservato di cui parlano i collaboratori di giustizia siciliani. Soggetti che gestiscono dall’alto le logiche e che in altri territori, creano, soprattutto in Lombardia, il punto di incontro tra le grandi componenti mafiose italiane per gestire il potere reale”. Il magistrato ha quindi evidenziato l’esistenza di una ‘Ndrangheta dell’apparenza e di una ‘Ndrangheta della sostanza, che è quella che conta davvero, che non passa da alcun ritualismo o da una formale affiliazione.
Per comprendere la differenza è efficace quell’intercettazione dell’operazione Purgatorio in cui un uomo di ‘Ndrangheta vibonese afferma in maniera chiara che “la ‘Ndrangheta l’abbiamo lasciata a quattro storti. Noi adesso siamo massoneria, chiamatela come volete, P4, P6 o P9”. “Il termine – ha sottolineato il magistrato calabrese – non cambia nulla, quel che conta è la sostanza. Non perché la ‘Ndrangheta sia venuta meno, ma perché parlando con un altro uomo di ‘Ndrangheta doveva spiegare il livello che conta davvero. Per far capire che quella è la base ed è indispensabile per continuare a fare un certo tipo di discorso sul territorio, ma se ci fermiamo alla base non abbiamo capito niente”.
Come agiscono le massomafie
Nel corso dell’incontro, anche grazie al contributo di John Dickie, si è poi parlato della Massoneria. In particolare è stato messo in evidenza come la stessa, nel suo sviluppo, abbia avuto anche una funzione sociale. E nella segretezza è stato individuato uno dei punti “deboli” per cui oggi si genera una grande confusione, anche da parte degli stessi massoni. Lombardo ha quindi spiegato il significato del concetto per cui l’alta mafia acquisisce logiche massoniche: “Le componenti alte vivono di logiche massoniche e si ispirano a logiche massoniche. Questo significa che in realtà non sono obbedienze massoniche, nel vero senso del termine, quelle che governano le mafie. Non sono le obbedienze massoniche riconosciute che spostano il loro raggio di azione all’interno delle componenti mafiose. Sono invece le componenti mafiose che hanno necessità di interagire con altri ambiti, che possono essere ambiti istituzionali, imprenditoriali, finanziari, economici di varia natura. Questi ambiti genericamente li indichiamo in settori ad alta redditività”. E poi ha aggiunto: “E’ difficile individuare all’interno della componente massonica delle mafie una parte della massoneria regolare o irregolare che sia. Diciamo che, alla luce delle emergenze processuali degli ultimi anni, su profili della massoneria irregolare, forse, un approfondimento andrebbe fatto. Quella parte irregolare, probabilmente, entra a contatto con una serie di componenti mafiose. Ed è sbagliato dire che si arrivi ad una completa compenetrazione tra massoneria irregolare e componente massonica delle mafie. Quando le componenti di ‘Ndrangheta parlano di massonerie, parlano di logiche massoniche e di rituali ispirati a quelli massonici. Non possiamo escludere che possa avere inglobato soggetti che in passato possono aver avuto una carriera massonica regolare o irregolare, ma certamente non è mai entrata la massoneria integralmente nel sistema mafioso per governarlo”.
Gli uomini cerniera che diventano vertice
Certo è che i fenomeni criminali si sono evoluti ed alimentati grazie ad una serie di rapporti che le mafie hanno avuto con i cosiddetti “uomini cerniera”. A lungo questi soggetti venivano descritti come “estranei al circuito mafioso” o “al servizio del circuito mafioso solo in relazione a determinate contingenze”. Ciò portava questi soggetti, come ha ricordato più volte Lombardo, ad essere processati, e qualche volta condannati, come concorrenti esterni.
Il dato che va colto, specie dopo gli approfondimenti investigativi come “Olimpia 5”, “’Ndrangheta stragista, o “Gotha”, è che “nel rapporto tra capo mafia, considerato soggetto di vertice del sistema criminale di tipo mafioso, e il soggetto cerniera c’era in realtà un rapporto che andava letto in maniera differente rispetto le apparenze. Non il capomafia che si serviva del soggetto cerniera, ma il soggetto cerniera, che a quel punto non era più tale, ad utilizzare il capomafia. E lo faceva da soggetto interno al circuito criminale di tipo mafioso, che non appariva come tale perché era protetto da quella componente invisibile o riservata delle mafie”.
A conclusione del dibattito Lombardo ha anche commentato la riforma della giustizia Cartabia che a suo modo di vedere “non va nella direzione giusta” e “non risolverà i problemi”. “I processi – ha aggiunto Lombardo – non subiranno un’accelerazione e questo, probabilmente sarà dovuto al fatto che, tra spinte e contro spinte, si ha il timore di destabilizzare un sistema. Io penso che una riforma ragionata, che non stravolga il nostro sistema processuale, sia indispensabile. Dico che è possibile semplificare molto il nostro sistema senza stravolgerlo e senza intaccare le garanzie difensive. In questi anni abbiamo fatto tante proposte. La riforma ha il merito di aver avviato un dibattito approfondito rispetto a qualche anno fa. Io dico che non avremo nessun tipo di beneficio ed i tempi della giustizia rimarranno quelli che sono. Intanto bisogna pensare ad una riforma che prescinda dal processo e anticipi il processo. Non è possibile, se parliamo di diritto comparato, che in Italia ci sia un eccesso di rilevanza penale. E allora si deve avere il coraggio di diventare cittadini che prescindono dalla sanzione penale, nel rispetto della norma. Perché una nazione evoluta come la nostra non può vivere sullo spauracchio del processo penale o del pubblico ministero. Fatto questo allora possiamo parlare del resto. I processi non si possono interrompere per improcedibilità perché noi viviamo perennemente in una condizione di emergenza nei distretti meridionali. E tutto il lavoro enorme fatto non può andare perso. Il cittadino ha diritto di avere risposte anche in relazione a quei reati che, apparentemente, prescindono dall’esistenza formale di persona offesa”.
da Antimafia2000
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