di Elisa Angelone
E’ terminato ieri, 17 maggio, in Islanda, il quarto vertice del Consiglio d’Europa, descritto come un’opportunità storica per i leader europei di riaffermare l’impegno nei confronti dei valori comuni come il rispetto dei diritti umani e la democrazia, ma anche -neanche a dirlo- nei confronti dell’Ucraina, vittima della cosiddetta aggressione russa. Non una parola sulla tragedia del Donbass. Questa, insomma, la cornice ideologica che avvolge ormai l’organizzazione internazionale dentro la quale si muovono con disinvoltura gli sponsor del conflitto. Al centro del summit tra i capi di Stato e di Governo dei 47 Paesi membri dell’organizzazione la creazione di un registro dei danni di guerra subiti dall’Ucraina per mano della Federazione Russa. “Un primo passo” -si legge nel comunicato stampa ufficiale- “verso l’istituzione di un meccanismo di risarcimento internazionale”. Il Registro avrà sede all’Aja, autoproclamatasi “capitale legale del mondo”, e un ufficio distaccato in Ucraina, altro Paese simbolo di giustizia e democrazia nel teatro dell’assurdo diretto da oltreoceano.
Il Registro raccoglierà prove e informazioni sui danni e sulle perdite subìte in Ucraina da parte di persone fisiche e giuridiche da febbraio 2022 e avrà una durata iniziale di tre anni. Compito del Consiglio d’Europa sarà richiamare la Russia alla sua responsabilità e obbligarla a risarcire l’Ucraina, anche attraverso i suoi beni, nel momento in cui sarà operativo il fantomatico meccanismo di risarcimento.
Un’iniziativa, questa, cui hanno aderito anche paesi non membri del Consiglio, quali Canada, Stati Uniti, Giappone, nonché l’Unione Europea, rappresentata per l’occasione dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Il primo ministro ucraino Denis Shmyhal ha ovviamente accolto con entusiasmo la creazione del registro dei danni, invitando quanti più paesi possibile nel mondo ad aderirvi. “Il Registro è una pietra miliare importante sulla strada della giustizia”, ha dichiarato il ministro ucraino, consapevole di avere davanti a sé una platea sorda a qualsiasi altra parola che non sia esageratamente autocelebrativa.
In questo si è distinta anche l’Italia, con la premier Giorgia Meloni che ha dichiarato che “l’intera Europa e tutto il mondo libero sono debitori [all’Ucraina e al suo popolo]”.
Nonostante le dichiarazioni altisonanti, sarebbero tuttavia ben 6 i paesi che non hanno firmato l’accordo finale del summit, che resta così parziale. Si tratta di Armenia, Azerbaigian, Bosnia e Erzegovina, Serbia, Turchia e Ungheria. La creazione del registro, tuttavia, potrà proseguire.
Mentre il Cancelliere tedesco Olaf Scholz invita comunque a “non tagliare i ponti con l’altra Russia” al di là del governo di Vladimir Putin, in quel di Mosca l’impressione è di veder poste ai propri confini le basi ideologiche e giuridiche di una vera e propria organizzazione antirussa, a completamento della NATO.







