di Gionata Chatillard
“Aspettiamo con ansia l’imminente conclusione di un nuovo trattato di alto livello con l’Iran”. Così si era espresso la scorsa settimana Sergei Shoigu, massimo responsabile del Consiglio di Sicurezza Nazionale russo. Parole che suggeriscono che il suo viaggio a sorpresa di ieri a Teheran avesse come obiettivo proprio quello di limare gli ultimi dettagli e completare così le procedure relative alla partnership strategica che i 2 paesi starebbero per suggellare.
Nella capitale iraniana, Shoigu si è riunito sia con il suo omologo, Ali Akbar Ahmadian, che con il presidente, Masoud Pezeshkian. Per il momento, non ci sono resoconti ufficiali sull’esito degli incontri, ma Teheran ha comunque ribadito la sua volontà di stringere legami con Mosca “in modo permanente, continuo e duraturo”. Approfondire le relazioni con la Russia, ha spiegato ieri il presidente iraniano, aiuterà entrambi i Paesi a ridurre l’impatto delle sanzioni imposte dall’Occidente a entrambe le nazioni.
La visita di Shoigu si è svolta in un momento di massima tensione con la NATO, che accusa Teheran di aver fornito a Mosca missili balistici da usare in Ucraina. In cambio, secondo Washington, la Federazione Russa potrebbe aver condiviso con la Repubblica Islamica tecnologia nucleare e informazioni riservate riguardanti lo spazio. Ipotesi, queste, rimandate subito al mittente dal presidente iraniano. “È possibile che consegne di missili a Mosca abbiano avuto luogo in passato, ma posso assicurare che da quando sono entrato in carica io non ce n’è stata nessuna”, ha spiegato Pezeshkian, che ha assunto le sue funzioni lo scorso 28 luglio.
Missili o non missili, la realtà è che l’abbraccio fra Russia e Iran è sempre più stretto, come d’altronde lo sono quelli con Cina e Corea del Nord. Non è un caso che pochi giorni prima di viaggiare a Teheran, Shoigu si sia recato a Pyongyang per parlare faccia a faccia con Kim Jong-un. Fra la capitale nordcoreana e Teheran, l’alto funzionario russo ha trovato il tempo di fare tappa a San Pietroburgo, dove ha tenuto colloqui con il ministro degli Esteri cinese. Una frenetica attività diplomatica innescata dall’espansionismo statunitense, che forse non si aspettava che i suoi rivali riuscissero a coordinarsi così bene e così in fretta.