di Jeff Hoffman
Sei delle prime 10 aziende emergenti nel campo dell’AI durante il quadriennio 2019-2023 si trovavano in Cina, hanno fatto sapere dalla Gran Bretagna aggiungendo che la ricerca sull’intelligenza artificiale in Cina sta aumentando rapidamente ma in modo quasi del tutto “disaccoppiat0” dalle reti di collaborazione globale guidate dagli Stati Uniti.
Lo ha reso noto la rivista Nature attraverso il suo database Nature Index che, con una certa attenzione, tiene traccia della produzione scientifica di enti e aziende di tutto il pianeta.
Per l’esattezza il Nature Index, diretto da Nature Research Intelligence, tiene traccia dei contributi agli articoli di ricerca pubblicati nelle principali riviste scientifiche e, stando all’opinione degli editori, Pechino sarebbe rimasto indietro rispetto agli Stati Uniti a causa della ridotta collaborazione fra scienziati internazionali.
Ma il divario tra Stati Uniti e Cina si sta riducendo, teme Caroline Wagner, esperta di politica scientifica e collaborazione internazionale presso l’Ohio State University negli Stati Uniti, secondo cui la qualità della ricerca cinese sarebbe più bassa perché scollegata da quella occidentale.
“Quello che vediamo è che il lavoro di alta qualità, come gli articoli più citati, è spesso frutto di collaborazioni internazionali”, ha spiegato la Wagner aggiungendo che per quanto i ricercatori cinesi pubblichino molti articoli non godono di collaborazioni internazionali che ne potrebbero migliorare la qualità.
Ciò che evidentemente spaventa gli Stati Uniti è che l’Accademia cinese delle scienze si colloca appena dietro l’Università di Harvard e mina il monopolio tecno-scientifico dell’impero a stelle e strisce.
Pubblicazioni o non pubblicazioni, a quanto pare, la Cina è sempre più in prima linea nella governance globale.