Donbass, l’amore mio – Donbass il dolore mio. Di Faina Savenkova. Lugansk, 1 ottobre 2020.
Ieri sera, durante la mia solita passeggiata per la città, in un’atmosfera umida e autunnale, ho incontrato una chiocciola. Camminava per gli affari suoi lungo il ciglio della strada. Forse non ci sarebbe di che meravigliarsi, se non fosse che ieri era il 30 settembre e che sin dal mattino ha piovuto fino a sera, tanto che la terra non ha ancora fatto in tempo ad asciugarsi. La pioggia … per la prima volta in tutta l’estate e buona parte dell’autunno appena trascorsa. La prima, tanto attesa, tiepida pioggia.
Perché dico tutto questo? Perché a causa della guerra non soffrono solo gli uomini, ma tutto l’ecosistema (sì sì, le conosco queste paroline “intelligenti”) Mi ricordo quella neve strana, il suo impressionante colore arancione dato dalla sabbia che ho visto per la prima volta l’altro inverno. Mi ricordo bene anche i fiumi asciutti di quest’estate, mentre prima mi divertivo a guardare le anatre e le natrici dal collare che nuotavano nel fiume Ol’khovka, o le rane che si nascondevano nella melma lasciando il ricordo di sé con un forte gracidìo, non parlo poi dei pesci …
Ma quest’estate non ricordo di aver spesso udito di notte i matrimoni delle rane, a causa dei quali a volte era impossibile dormire.
Ho ben presente anche il Donbass infuocato all’inizio dell’autunno, quando per il fortissimo vento e l’erba secca gli incendi si sono propagati con fulminante rapidità. Il fuoco, che tutto distrugge sul suo cammino, lasciando solo terra bruciata, morta. Ma a parte le persone che ne rimangono vittime, chi si prende cura di ricordare anche gli animali morti o le piante distrutte nel fuoco? Cosa importa se gli alberi bruciati non rappresentavano qualcosa di raro nell’intero pianeta? Quegli alberi erano di necessità vitale per la mia Patria, col suo clima, insopportabilmente caldo e arido. Dei boschi è rimasto poco, perché li tagliano senza pietà senza pensare al futuro e adesso, ci si mettono pure gli incendi a trasformare il mio amato Donbass in un deserto senza vita.
E che dire dei vari roditori, lepri o serpenti nelle steppe? Cosa rimane loro da fare, dove devono scappare dalle fiamme se li circondano da ogni parte? Non sono salamandre o fenici, sono semplici abitanti delle steppe e il fuoco, come l’uomo, non risparmia nessuno e niente.
Quello che più temo è che al posto del Donbass, un tempo fiorente, appaia un enorme, infinito deserto. E perché no? La sabbia non manca, le città son spazzate dalla sabbia e Lungansk non è unica.
A giudicare dalle previsioni metereologiche, la temperatura all’inizio di novembre sarà di + 15 gradi, e se in autunno si indossano cappotto e berretto, di sicuro non è nella nostra città e ciò è molto triste.
Il Donbass è ferito dalla guerra, ma ciò non riguarda solo le persone ma anche l’intero nostro pianeta, sia pure esso una sua piccolissima parte. Potremo noi difenderlo? E quanto a lungo ci perseguiterà l’eco della guerra? E qui io mi riferisco non solo ai proiettili inesplosi che feriscono e paralizzano le persone, ma anche alle conseguenze che patisce la natura.
Noi abbiamo perso troppo per rimanere indifferenti.
Potrà l’umanità riflettere e fermare il male? E’ una domanda a cui io non posso rispondere.
Perciò io adesso mi riaggiusto il cappuccio dell’impermeabile e accompagno la chiocciola che lentamente mi striscia accanto, continuando a sperare in un miracolo. Anche se ogni volta diventa sempre più difficile.
Traduzione di Marinella Mondaini.
Mosca, 12 dicembre 2020.