di Gionata Chatillard
L’ennesima vittoria elettorale di Erdogan ha confermato la volontà del popolo turco di seguire un cammino diverso da quello dettato dagli Stati Uniti. Motivo per cui in molti, ad Ankara, si chiedono adesso se Washington si limiterà ad ingoiare il rospo o passerà al contrattacco con nuove manovre di destabilizzazione.
Secondo l’analista Engin Ozer, intervistato dalla testata Sputnik, la Casa Bianca opterà probabilmente per una delle armi a cui è più affezionata, ovvero quella delle sanzioni. L’obiettivo sarebbe quello di far fallire il paese nella speranza che una profonda crisi economica possa trascinare verso il basso Erdogan e i suoi accoliti. Per Ozer, un sostegno troppo diretto all’opposizione sarebbe invece controproducente per gli interessi statunitensi, dal momento che il risentimento verso l’Occidente non è un’invenzione del leader turco, ma un sentimento ben radicato nella società del paese euroasiatico. Stuzzicare Ankara su questa questione potrebbe quindi gettarla definitivamente fra le braccia dei rivali geopolitici della Casa Bianca, Russia e Cina in primis.
Ma se Washington non è nelle condizioni di sferrare un attacco diretto a Erdogan, è anche perché ha ancora bisogno del sì di Ankara per far entrare la Svezia nella NATO. La questione, bloccata da mesi, potrebbe risolversi nel vertice che si terrà a luglio in Lituania. Di mezzo, però, c’è anche il tira e molla sugli F-16. Se, dopo aver negato alla Turchia gli F-35, Washington dovesse dire di no anche alla vendita di questi aerei da combattimento, le relazioni fra i due paesi potrebbero anche incrinarsi definitivamente e Ankara potrebbe allora decidere di schierarsi apertamente con i BRICS. Opzione, questa, che Washington intende scongiurare ad ogni costo.
Più che altro, quindi, Erdogan dovrà stare attento a tenere in piedi l’economia del suo paese. Anche perché negli ultimi anni la Banca Centrale turca ha dovuto indebitarsi fino al collo per contrastare il crollo della lira sui mercati finanziari. Altro elemento, questo, che potrebbe spingere Ankara a guardare sempre più a est e sempre meno a ovest. Il progetto di trasformare il paese in un hub energetico grazie al gas russo è d’altronde già in fase avanzata. E nel mentre, la frangia più nazionalista dell’establishment turco è tornata ad alzare la voce. Tanto che nelle ultime ore il responsabile dell’Interno Suleyman Soylu ha arringato la folla sostenendo la necessità di mandare presto a casa le truppe statunitensi. “Per la prima volta in 100 anni abbiamo colto le potenze occidentali in posizione di debolezza”, ha dichiarato il ministro, aggiungendo che sarà il “potere del popolo” turco a “salvare il mondo dalla loro oppressione”.