Mentre l’Unione europea, attraverso l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, annuncia sanzioni verso la Bielorussia, in particolare nei confronti di “personalità di alto profilo politico”, con l’accusa di “violenze ai manifestanti e di brogli elettorali”, a Minsk, il presidente Alexander Lukashenko, eletto per la sesta volta, punta il dito direttamente contro la NATO, che, secondo rapporti militari interni, starebbe esercitando pressioni militari ai confini del Paese. “Cosa avrei dovuto fare – sottolinea Lukashenko parlando agli operai di uno stabilimento pubblico – se non dispiegare a mia volta le nostre forze armate alle frontiere?”
Ma è da Mosca che arrivano i segnali più chiari. Russia e Bielorussia sono infatti legati da forti legami storici e culturali, ma anche politici, difensivi ed economici. Entrambi i Paesi sono membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), alleanza difensiva creata il 15 maggio 1992 e attualmente comprendente sei nazioni dell’ex Patto di Varsavia (Armenia, Bielorussia, Kirghizistan, Kazakistan, Tagikistan e Russia). Inoltre, con il Trattato di Unione tra Russia e Bielorussia, siglato l’8 dicembre 1999 dal presidente bielorusso Lukashenko e dall’allora presidente russo El’cin, i due Paesi si posero l’obiettivo d’integrare i sistemi politici, economici e sociali, gettando le basi per la creazione di un’entità sovranazionale e intergovernativa. Una lunga fase di stallo nell’implementazione dei rapporti seguì subito all’iniziale entusiasmo, mentre il numero di aree problematiche nel dialogo tra Russia e Bielorussia aumentò in maniera graduale, soprattutto di recente, in conseguenza della crisi ucraina del 2014 e delle pesanti sanzioni dettate contro la Russia dall’Unione europea. Quest’ultima infatti, nello stesso tempo, allentò le sanzioni imposte alla Bielorussia per violazione dei diritti umani e approvò il piano per facilitare l’ottenimento del visto Schengen ai cittadini bielorussi. Nel frattempo, i colloqui a proposito dell’unione tra Mosca e Minsk ripresero alla fine del 2018, quando l’ex primo ministro russo, Dmitry Medvedev, rilanciò il dialogo sulla piena integrazione del Trattato.
A tal fine, sia in Russia che in Bielorussia, furono istituiti gruppi di lavoro governativi, che produssero un documento composto da 31 linee guida per lo sviluppo dell’unione, riguardante l’unificazione dei sistemi fiscali e doganali, la creazione di organi di governo congiunti e di un piano regolatore comune dell’energia.
Il documento venne presentato ai presidenti delle due nazioni, Alexander Lukashenko e Vladimir Putin, lo scorso dicembre 2019, a Sochi. E quell’incontro fu decisivo per la pianificazione dei passi venturi, a partire dalla creazione di una prima confederazione economica, che prevede, entro il 2022, un unico codice fiscale, la regolazione dei mercati dell’energia e la fusione di alcune politiche doganali.
Alla luce di quest’ultimo meeting, si possono comprendere meglio le parole del ministro degli Esteri russo, Sergeij Lavrov, pronunciate lo scorso 22 agosto e riportate dal quotidiano Trud: “Quello che sta succedendo in Bielorussia ci preoccupa molto. Nessuno fa segreto del fatto che si stia parlando di una questione geopolitica, della lotta per il controllo dello spazio post-sovietico”. Inoltre, ha continuato Lavrov, “ci sono forze estremiste che intendono provocare un bagno di sangue perché si ripeta lo scenario ucraino”. “L’Ue non è realmente interessata ai diritti umani o alla democrazia in Bielorussia: la vera motivazione della contestazione del risultato elettorale – ha sottolineato Lavrov – è geopolitica.” Perché “ora, proprio come durante la Guerra Fredda, combattere la Russia su tutti i fronti, anche attraverso l’informazione e la propaganda, è diventata la ragione dell’esistenza dell’Alleanza atlantica“, ha proseguito il ministro degli Esteri russo, che non ha mancato di aggiungere che “la NATO ha dispiegato vaste risorse sul fianco orientale, vicino ai confini russi, econtinua a espandere la sua area di influenza militare e politica, invitando tutti i Paesi sotto il suo ‘ombrello’ con il pretesto di proteggerli dalla Russia“.
Sulla questione è intervenuto direttamente anche il presidente russo, Vladimir Putin, che, citato dall’agenzia di stampa russa Ria Novosti, ha precisato: “Lukashenko vorrebbe che gli fornissimo assistenza adeguata, se necessario. Ho detto che la Russia adempirà a tutti i suoi obblighi“. Putin, in un’intervista trasmessa dal canale televisivo Rossija 1 il 27 agosto scorso[1], ha dichiarato con decisione: “Non siamo indifferenti a ciò che sta accadendo in Bielorussia: è il Paese a noi più vicino. Su richiesta di Aleksandr Grigorievich (Lukashenko), ho formato una riserva di agenti delle forze dell’ordine che possono andare in Bielorussia, ma finora non ce n’è bisogno […] almeno finché gli estremisti non cominceranno ad appiccare il fuoco ad auto e case. Partiamo comunque dal presupposto che tutti i problemi in Bielorussia saranno risolti pacificamente. In generale la situazione si sta stabilizzando“. Il capo del Cremlino ha anche sostenuto che, dietro all’arresto di 30 mercenari russi in Bielorussia alla vigilia delle presidenziali, ci sia stata “un’operazione d’intelligence”. I 33 uomini della compagnia Wagner sarebbero stati “attirati nel territorio bielorusso e presentati come una potenziale forza d’attacco per destabilizzare la situazione in campagna elettorale“. Tutto “falso“, ha insistito il presidente russo, che ha ribadito: “Si è trattato di un’operazione dell’intelligence ucraina insieme ad agenti americani“. Nell’intervista, Vladimir Putin ha anche parlato del ruolo dell’Osce durante le elezioni in Bielorussia. “Le autorità bielorusse hanno invitato l’Osce a partecipare al monitoraggio delle elezioni. Perchè non sono venuti? Questo ci fa immediatamente pensare – ha proseguito il presidente russo – che la posizione sul risultato del voto era effettivamente preparata in anticipo. Se anche qualcuno ha qualche dubbio sui risultati – ha sottolineato Putin – io ho tutte le ragioni per avere dubbi sul fatto che coloro che hanno i dubbi siano del tutto onesti. Noi consideriamo valide queste elezioni, ne riconosciamo la legittimità e mi sono congratulato con Aleksandr Grigoriyevich Lukashenko per la sua vittoria“, ha concluso il capo del Cremlino.
Immediata la reazione della Nato che, con il segretario generale Jens Stoltenberg, ha invitato la Russia a non ‘interferire’ in Bielorussia.
Nel frattempo, la candidata dell’opposizione bielorussa, Sviatlana Tsikhanouskaya, che ha affermato di avere vinto le elezioni, è in Lituania. Dovrebbe essere un’insegnante d’inglese, eppure ha avuto difficoltà a leggere il comunicato scritto nellalingua anglosassone con cui implora il “supporto occidentale“. Ha già incontrato diversi politici, tra cui il segretario generale dell’Unione democratica cristiana tedesca, Peter Zeimiag, e il vice segretario di Stato americano, Stephen Biegun. Nessuno dei due però sembra poterla aiutarla.
Con la vicinanza della Russia, la continuità militare, politica ed economica della Bielorussia è per ora garantita. Lukashenko a un certo punto verrà estromesso, ma ciò avverrà nel momento e nel modo più conveniente per l’alleato russo e non attraverso una felpata rivoluzione colorata guidata dal canale Telegram polacco denominato “Nexta”.
È bene dunque oggi prestare attenzione ai fatti che provengono dall’est Europa e ricordarsi delle parole del compianto Giulietto Chiesa, che già nel 2001 sembrava profetizzare la situazione attuale: “Forse, purtroppo, siamo di fronte all’avverarsi di quello che Samuel Huntington definì clash of civilization, “scontro di civiltà”, di culture. Prevederne tutte le conseguenze, oggi, è impresa vana. Si può solo immaginare che saranno immense e prepararsi ad affrontarle con animo fermo, perché dilagheranno dall’economia alla politica, alle armi. […] È terribile dirlo ma dobbiamo augurarci che i suoi leader (dell’America, ndr) sappiano mantenere il sangue freddo necessario per riprendere in mano la situazione. La responsabilità che grava sulle loro spalle non è mai stata così planetaria come oggi. Lo era ieri, ma oggi lo si vede con una lancinante chiarezza. Ciò ch’è accaduto dice che la ricerca del nemico e la sua punizione non saranno sufficienti per rimettere ordine. Perché questo nemico si riprodurrà inesorabilmente e ferocemente, se ci si limiterà alla sua caccia. E allora? Allora, sebbene possa apparire poco, è il momento di una grande riflessione comune. Perché non occorreva giungere al punto in cui siamo per capire che il mondo che abbiamo costruito non va bene. E non occorre più aspettare a lungo per rendersi conto che i tetti di sopportazione si avviano a essere toccati, le linee di faglia delle tensioni sociali stanno scivolando, i coefficienti di tenuta degli equilibri militari e geopolitici si stanno logorando. Se così è, come credo, questa riflessione non può essere prerogativa solo dell’Occidente. È questione che concerne il mondo intero, tutte le sue culture e civiltà. Intendo dire che non può essere questione solo militare, né soltanto questione dell’Occidente, da affrontare chiusi dentro una fortezza assediata. È impresa tremendamente difficile e complessa, che richiede leadership e grandezza di visione. Ma è l’unica che possa produrre pace e sicurezza. Le altre sono vie verso la guerra. E, anche se, in ipotesi, potesse essere vinta, ci vedrebbe tutti sostanzialmente, schiavi e costretti a difenderci per sempre. Come nel più terribile dei film di fantascienza.”[2]
[1] https://www.youtube.com/watch?v=p4it06ZrBsA&feature=youtu.be
[2] G8/Genova, Giulietto Chiesa, 2001, Einaudi edizioni