di Margherita Furlan e Andrea Lucidi
Un’esplosione simultanea di dispositivi di comunicazione wireless ha causato il ferimento di centinaia di membri di Hezbollah e civili nella periferia meridionale di Beirut, conosciuta come Dahiyeh, e nel sud del Libano. L’incidente ha coinvolto cercapersone utilizzati dal gruppo shiita, che sono esplosi improvvisamente nel pomeriggio di oggi, secondo fonti della sicurezza libanese.
Hezbollah ha confermato in un primo momento la morte di tre persone, tra cui una ragazza, e numerosi feriti. Il gruppo ha assicurato che le sue forze restano in allerta per difendere il Libano, mentre le autorità continuano le indagini per chiarire le cause di questo attacco coordinato. Successivamente le autorità libanesi hanno comunicato che il numero dei morti è salito a otto.
Il ministro della Sanità libanese, Firas Abiad, mentre scriviamo, ha dichiarato che il numero dei feriti è di 2.750, di cui 200 si troverebbero in situazioni critiche; anche l’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amani, è tra i feriti, anche se in condizioni stabili.
Le esplosioni sono state descritte come un possibile attacco informatico a distanza, attribuito dalle autorità libanesi al regime israeliano, in un contesto di crescenti tensioni lungo il confine tra Libano e Israele. I filmati sui social mostrano scene di caos, con passanti che prestano soccorso ai feriti e gruppi di persone che si radunano per cercare i propri cari.
A differenza dei telefoni cellulari, i cercapersone sono difficili da rintracciare e funzionano in aree con copertura telefonica limitata: non richiedono schede sim o connessioni a internet, il che li rende più difficili da localizzare e monitorare. Secondo il quotidiano libanese francofono «L’Orient le Jour» i nuovi cercapersone, tutti marcati Motorola, avevano batterie al litio che apparentemente sarebbero esplose. Le batterie al litio, se surriscaldate, possono fumare, fondere e persino prendere fuoco. L’ex ministro della Difesa libanese Yacoub Sarraf ha dunque affermato di non credere che la detonazione sia un «attacco informatico». Sarraf sostiene che questo tipo di dispositivo ha un codice assegnato dal produttore, per «garantire che possa essere fatto esplodere in base a un’informazione chiamata `Back door´ che consentirebbe al produttore di accedere al dispositivo e dare istruzioni su come farlo esplodere». L’ex ministro è quindi giunto alla conclusione che «il nemico (Israele) abbia ricevuto questo codice e lo abbia utilizzato per commettere questo crimine orribile». Oppure che il produttore abbia modificato il dispositivo in qualche modo. Prima della consegna? All’estero? O quando sono arrivati a Beirut? Ha «lavorato» sulle batterie? Ha inserito microcariche? Sono le domande di queste primissime ore.
È comunque assai probabile che questa operazione, di forte impatto psicologico, ma di relativa efficacia, dato che si parla di alcune centinaia di dispositivi esplosi, mentre Hezbollah conta su circa 100.000 combattenti, sia il preludio all’operazione militare vera e propria da parte israeliana sul territorio libanese.
Al momento, non ci sono commenti ufficiali da parte dell’esercito israeliano ma
i più alti responsabili della sicurezza israeliana sono stati convocati per un incontro d’emergenza con il governo. Il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant sono già riuniti nella `fossa´ della Kyria, il bunker del ministero della Difesa a Tel Aviv.
Yoav Gallant, ministro della difesa israeliano, stamani non aveva usato diplomazia nella dichiarazione rilasciata durante l’incontro a Tel Aviv con l’inviato americano Amos Hochstein riguardo la situazione nel nord della Palestina.
Per Gallant la finestra per un accordo con Hezbollah si starebbe chiudendo ed il ministro, pare voglia cogliere l’occasione per scatenare una nuova operazione militare israeliana anche nel sud del Libano.
“Hezbollah continua a legarsi ad Hamas”, ha scritto Gallant su X. “Pertanto, l’unico modo rimasto per assicurare il ritorno delle comunità settentrionali di Israele alle loro case è l’azione militare”.
Dichiarazioni simili sono state fatte da Gallant al segretario della difesa degli USA, Lloyd Austin, in una telefonata.
Gli Stati Uniti ufficialmente sembrano voler scoraggiare un allargamento delle operazioni militari di Israele, per evitare che il conflitto si allarghi e diventi a tutti gli effetti un conflitto regionale. Sicuramente gli apparati statunitensi considerano anche la potenziale risposta di Hezbollah ad una invasione israeliana del Libano.
Hezbollah ha sempre dichiarato di essere pronta a rispondere duramente ad una azione militare israeliana e la situazione sul campo lo conferma. L’organizzazione sciita libanese possiede armi moderne, utilizza droni nei suoi attacchi contro le installazioni militari israeliane nel nord della Palestina e, soprattutto, ha nelle sue fila soldati altamente motivati.
Hezbollah ha risposto alle dichiarazioni israeliane affermando che un conflitto militare nel nord della Palestina aumenterebbe il numero dei rifugiati, arrivati al momento a circa 60.000 dal lato israeliano, e produrrebbe pesanti perdite da entrambi i lati, ma ha anche dichiarato di essere pronta a rispondere con durezza a qualsiasi azione militare di Israele contro il sud del Libano.
Washington dunque continua la sua politica bifronte in Palestina, dove da una parte si dichiara politicamente favorevole ad un accordo diplomatico per smorzare il conflitto e dall’altro lato continua a sostenere pesantemente Israele dal punto di vista militare.