Processo Trattativa: Bombe di Cosa nostra erano ricatto allo Stato
L’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano testimoniò nel Processo Trattativa Stato-Mafia, confermando che la campagna stragista di Cosa Nostra aveva messo i pubblici poteri di fronte a un vero e proprio aut-aut. Gli attentati del ‘92-‘93, dalla strage di Capaci e via D’Amelio fino agli attacchi a Roma, Firenze e Milano avevano uno scopo ricattatorio e destabilizzante: obbligare lo Stato a trattare, magari attraverso modifiche legislative sulle misure carcerarie per i boss mafiosi.
Tra le richieste avanzate dalla mafia, riassunte nel “papello” di Totò Riina, c’era proprio l’abolizione del 41-bis, il carcere duro per i mafiosi. E la storia ci racconta che qualcosa avvenne davvero: nel 1993, l’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso fece scadere oltre 300 provvedimenti di 41-bis, prendendo quella decisione – a suo dire – “in assoluta solitudine”.
Ma cosa rimane oggi di quella testimonianza? Nella sentenza di Cassazione che ha assolto tutti gli imputati istituzionali, le parole di Napolitano sono state completamente ignorate. Secondo i supremi giudici, la mafia tentò di instaurare una trattativa, ma lo Stato non la recepì. Un’affermazione che suona come una contraddizione in termini, considerando che gli attentati raggiunsero il loro obiettivo, portando a scelte politiche favorevoli ai boss detenuti.
Quanto pesano le parole di Napolitano? Qual è la verità dietro gli eventi che hanno cambiato l’Italia?
È oggi, più che mai, necessario ritornare all’Etica del fare. Per restare lucidi aiutaci a divulgare la consapevolezza dei Tempi.
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