di Jeff Hoffman
A partire dal mese di maggio tutti i dipendenti pubblici dello Stato e delle imprese statali della città di Changshu, nella provincia di Jiangsu, riceveranno lo stipendio in yuan digitali noti anche come e-CNY.
Oltre ad emettere stipendi pubblici con la valuta digitale dello stato, Pechino aveva dato il via all’utilizzo della stessa con i paesi della nuova via della seta interessati allo snodo ferroviario della città di Xuzhou con 18 linee ferroviarie dirette verso 21 paesi europei e asiatici.
La sperimentazione sull’utilizzo della moneta elettronica, procurando i peggiori incubi fra i funzionari del Tesoro statunitense, era partita nel 2019 in dodici grandi città cinesi fra cui Pechino, Shanghai e Shenzen. Il presidente Xi Jinping aveva dichiarato che l’economia digitale rappresenta un’area chiave della concorrenza internazionale della Cina. Stando ai dati ufficiali, dall’agosto 2022 sono state effettuate in Cina 360 milioni di transazioni per un totale di circa 22 miliardi di dollari, superando la valuta di Washington nelle transazioni transfrontaliere. Oltre a rafforzare la valuta nazionale cinese, infatti, quella avviata nel 2019 ha rappresentato per Washington la prima vera minaccia all’incontrastata egemonia del dollaro.
Fra una dichiarazione d’intenti e l’altra, Washington trema e, con la voce del segretario al Tesoro Janet Yellen avverte tutti che il default degli Stati Uniti potrebbe causare il crollo di diversi mercati finanziari e un vero e proprio “panico globale”.
Christine Lagarde, d’altra parte, aveva appena ribadito per l’ennesima volta che il dollaro e l’euro rischiano di perdere il ruolo centrale nel sistema dei pagamenti internazionali a favore del cinese renminbi.
“L’avanzata dello yuan minaccia più che mai la stabilità globale”, è il mantra recitato dal capo della BCE.
Come prevedibile, quindi, il suicidio assistito del Vecchio Continente è certificato dalla Banca Centrale.