L’Aja condanna gli USA a risarcire l’Iran
di Gionata Chatillard
La Corte Internazionale di Giustizia, principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, ha ordinato agli Stati Uniti di risarcire l’Iran per il sequestro di quasi 2 miliardi di dollari appartenenti alla Banca Centrale della Repubblica Islamica. Gli asset furono congelati nel 2012 da Washington, che giustificó la misura accusando Teheran di sponsorizzare il terrorismo. Motivo per cui, secondo la posizione statunitense, i beni confiscati avrebbero dovuto essere impiegati per risarcire le vittime degli attentati di Beirut del 1983.
Questa ricostruzione non ha però convinto la Corte Internazionale di Giustizia, che ha parzialmente dato ragione al ricorso presentato da Teheran nel 2016. Il tribunale dell’Aia non ha stabilito l’entità dell’importo che dovrà essere restituito alla Repubblica Islamica, ma ha concesso alle parti 2 anni di tempo per trovare un accordo sulla cifra. Difficile, però, che qualcosa si muova a livello diplomatico. I negoziati non sono iniziati e, probabilmente, non inizieranno mai, dato lo stato attuale delle relazioni fra i due paesi.
Quella di Teheran è comunque una vittoria almeno sul piano simbolico. Il tribunale ha ritenuto coerente l’argomentazione fornita dalle autorità iraniane, che avevano basato la propria denuncia sulla violazione del trattato di amicizia firmato nel 1955 tra i due paesi. Nonostante l’intesa risalga a ben prima della Rivoluzione Islamica del 1979, la Corte ha infatti stabilito che è ancora valida. Gli Stati Uniti hanno recentemente annunciato di volersi ritirare dall’accordo, ma ormai fuori tempo massimo per poter vincere in tribunale.
Se, come prevedibile, fra le parti non si dovesse arrivare a nessun accordo sul risarcimento, sarà la stessa corte dell’Aia a stabilire l’importo. Un altro paio di maniche è che questo venga poi effettivamente pagato da Washington. Per il momento, però, Teheran si porta a casa una vittoria che, oltre ad essere simbolica, costituisce anche un importante precedente che ben si intona al nuovo contesto multipolare che sta prendendo piede a livello globale.