di Margherita Furlan
Nella notte del 5-6 giugno, un’ampia porzione della paratoia dell’invaso idrico di Kakhovka sul grande fiume Dnepr è crollata, provocando una vasta inondazione nei territori più a valle. Al momento non si dispone di immagini di deflagrazioni presso la diga.
Secondo il capo dell’amministrazione locale, Vladimir Leontyev, 14 delle 28 campate della diga sarebbero crollate in seguito ad un attacco terroristico avvenuto nella notte da parte delle forze ucraine.
Le responsabilità del disastro possono essere raggruppate in tre ipotesi preliminari: sabotaggio ordito dall’intelligence militare dell’Ucraina, distruzione perpetrata dalle “forze di occupazione” della Russia, collasso involontario della barriera.
In un clima mediatico avvelenato, i media occidentali si sono comunque immediatamente allineati alla posizione ucraina che accusa Mosca della distruzione della diga per impedire all’esercito di Kiev di attraversare il Dnepr e così avanzare nella direzione della Crimea. Ma la sponda sinistra del fiume, quella dove è fermo l’esercito russo, è più bassa della destra; quindi saranno i russi che dovranno arretrare, abbandonando trincee e campi minati. L’isolamento in cui rischiano di cadere le truppe russe è stato infatti l’obiettivo del razzo ucraino che il 6 novembre scorso ha colpito il viadotto sulla diga, tagliando così la via di fuga alle truppe russe dispiegate allora sulla sponda destra del grande fiume.
In ogni caso, entrambe le parti belligeranti subiscono ingenti danni. L’inondazione è destinata a colpire decine di località (in maggioranza sulla sponda sinistra controllata dai russi), spazzando via infrastrutture, veicoli e abitazioni. Nonostante l’evacuazione ordinata da entrambi i paesi, è difficile pensare che non vi saranno vittime tra i civili. Oltre 40mila le persone da evacuare secondo le autorità ucraine.
Se l’abbattimento della diga causa un’inondazione a valle, è però inevitabile il fisiologico abbassamento del livello delle acque più a monte. Ma circa 100 chilometri in linea d’aria più a nord risiede la più grande centrale nucleare d’Europa, oggi in mano russa, Zaporizhzhya. Le acque del Dnepr sono essenziali per il raffreddamento dei sei reattori, sebbene al momento non si segnalino rischi di incidente atomico (cinque reattori ibernati e uno in standby).
Il disastro può arrecare anche seri problemi alla Crimea. La penisola è infatti priva di sorgenti proprie e si approvvigiona di acqua dolce proprio dall’invaso idrico di Kakhovka tramite un lungo canale (400 chilometri) concepito dalle autorità sovietiche negli anni cinquanta. Il varco centrale nella paratoia non pare tuttavia compromettere per il momento il pompaggio di acqua verso la penisola strategica.
“La Russia ha fatto esplodere una bomba di distruzione ambientale di massa. È il più grande disastro ambientale causato dall’uomo in Europa da decenni a questa parte. È il terrorista più pericoloso del mondo. Ed è per questo che la sconfitta della Russia – una sconfitta che comunque garantiremo – sarà il contributo più significativo alla sicurezza della nostra regione, della nostra Europa e del mondo intero”. Queste le parole del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che in un’unica mossa associa finalmente alla guerra il tema ambientale. La grancassa euroatlantica si è così subito messa in moto per addossare le colpe a Mosca. Il capo del Consiglio europeo, Charles Michel, ha definito la distruzione della diga un “crimine di guerra” mentre il Segretario della NATO, Jens Stoltenberg, ha definito l’accaduto “un atto oltraggioso che dimostra la brutalità della guerra della Russia in Ucraina”. Affermazioni rimandate al mittente dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha attribuito la distruzione a un deliberato atto di sabotaggio da parte di Kiev. Diretta anche Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, secondo cui “a causa dell’inevitabile abbassamento del bacino idrico di Kakhovka, l’approvvigionamento idrico della Crimea sarà ostacolato e la bonifica dei terreni agricoli nella regione di Kherson verrà interrotta. Quello che è successo è un atto terroristico diretto contro l’infrastruttura con uno scopo puramente civile. È stato pianificato in anticipo e intenzionalmente dal regime di Kiev per scopi militari come parte della cosiddetta ‘controffensiva’ delle forze armate ucraine. Il regime di Kiev non solo ha sottoposto la centrale idroelettrica di Kakhovka a massicci bombardamenti, ma ha anche deliberatamente portato il livello dell’acqua nel bacino idrico di Kakhovka a un livello critico, aprendo le paratoie della centrale idroelettrica di Dnepropetrovsk. Il comitato investigativo della Russia ha aperto un procedimento penale su questo atto terroristico che ha causato danni significativi alla proprietà e altre gravi conseguenze. La parte russa avvia l’esame di questo crimine del regime di Kiev nell’ambito del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, negli organi statutari e decisionali dell’OSCE e in altre organizzazioni internazionali. Chiediamo alla comunità internazionale di condannare gli atti criminali delle autorità ucraine, che sono sempre più disumani e rappresentano una seria minaccia per la sicurezza regionale e globale”. Con queste parole si chiude il comunicato del dicastero degli Esteri moscovita, letto dalla Zakharova. La Russia ha infatti chiesto una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, convocata per le 22, ora italiana. Ma il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres ha precisato che “le Nazioni Unite non hanno accesso a informazioni indipendenti sulle circostanze che hanno portato alla distruzione della diga. Una sola cosa è chiara, ha sottolineato: questa è un’altra devastante conseguenza dell’invasione russa. Stiamo vedendo gli effetti nelle città di Kherson , di Nova Kakhovka e in altri 80 paesi e villaggi lungo il fiume Dnipro, oltre che le minacce alla centrale nucleare già altamente minacciata di Zaporizhzhya”. “Non c’è alcun rischio immediato per la sicurezza della centrale”, rassicura il direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea), Rafael Mariano Grossi.
Ma un articolo del Washington Post di fine dicembre scorso riportava che il generale ucraino, Andrey Kovalchuk, pensava di allagare il fiume Dnepr. Per raggiungere l’obiettivo sarebbe stato effettuato un attacco di prova con missili HIMARS, avvenuto con successo, proprio su una delle chiuse della diga Novokakhovskaya, praticando tre fori nel metallo per vedere, cita sempre il quotidiano statunitense, se le acque del Dnepr potessero salire abbastanza da bloccare i valichi russi.
Nel frattempo, a New York l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato l’ingresso di Algeria, Guyana, Sierra Leone, Slovenia e Corea del Sud nel Consiglio di Sicurezza. La domanda della Bielorussia, invece, alleata della Russia, è stata respinta.