di Margherita Furlan
Il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan ha intrattenuto separatamente colloqui telefonici sia con Volodymyr Zelensky che con Vladimir Putin. Erdoğan ha quindi proposto ai suoi omologhi di istituire una commissione internazionale che includa le Nazioni Unite e la Turchia per ricostruire gli accadimenti relativi alla diga di Kakhovka, acclarare le responsabilità e ricercare soluzioni. Ankara si propone quindi come mediatore imparziale tra le due parti belligeranti, sul modello di successo che ha portato agli accordi per l’istituzione di un “corridoio del grano” nel Mar Nero. Putin avrebbe riferito ad Erdogan che Kiev, su suggerimento dell’Occidente, starebbe mettendo in pratica una pericolosa scommessa sull’escalation, usando metodi terroristici nell’organizzare sistematicamente azioni di sabotaggio in Russia. D’altronde Kiev, incoraggiata e supportata dai padroni occidentali, sembra aver scelto l’attacco come miglior difesa. Il procuratore generale dell’Ucraina Kostin ha infatti presentato ricorso alla Corte penale internazionale dell’Aia sui fatti di Kakhovka, confermando una precedente promessa del presidente ucraino. “Il comando per questo atto terroristico è arrivato dal Cremlino, dall’ufficio di Putin. Ordini di questa importanza non vengono impartiti a qualsiasi livello”: ne è convinto il segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale ucraino, Oleksiy Danilov, secondo cui gli esplosivi sono stati piazzati lì in anticipo, forse già da settembre o ottobre dell’anno scorso. Il New York Times, infatti, citando alcuni funzionari ucraini, riporta che la diga sarebbe esplosa dall’interno, un’ipotesi che trova l’approvazione di molti esperti considerando che un attacco di artiglieria o comunque dall’esterno non sarebbe stato in grado di causare tali danni. Non sono note però le condizioni di salute al 2022 della vecchia diga sovietica, costruita negli anni cinquanta. Di più: il sensibile accrescimento nei giorni precedenti del livello delle acque (e del peso) nell’invaso idrico – dovuto all’apertura delle chiuse nella diga più a monte in mano ucraina – potrebbero aver agevolato il fatale deterioramento. Ecco perché la retorica del “crimine contro l’umanità” (o del crimine di guerra) da parte russa dovrebbe venire meno, media permettendo. D’altronde, solo pochi mesi fa gli analisti occidentali osservavano che, per la Russia, la distruzione della diga sarebbe stato come “farsi saltare un piede”, perché una volta che il serbatoio avrà terminato di prosciugarsi, il fiume sarà molto più piccolo e più facile da guadare dalle forze ucraine, mentre le inondazioni stanno costringendo all’abbandono delle posizioni difensive russe e alla distruzione dei campi minati lungo il fiume. In ogni caso, chiunque sia l’artefice della distruzione della diga, terreni tra i più fertili d’Europa sono irrimediabilmente compromessi con danni sia per la biosfera che per il raccolto di derrate alimentari, mentre un’enorme chiazza di idrocarburi si dirige verso il Mar Nero.