di Gionata Chatillard
Ci sono voluti 11.000 morti prima che i paesi arabi e musulmani si mettessero d’accordo per sottoscrivere una dichiarazione unanime di condanna all’offensiva israeliana su Gaza. Lo scenario dell’intesa è stata Riyad, dove sabato scorso si sono riuniti i rappresentanti delle nazioni culturalmente più vicine alla causa palestinese. Un vertice in qualche modo storico, che oltre a mettere assieme la Lega Araba e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica ha segnato anche il primo incontro faccia a faccia da 10 anni a questa parte fra i leader di Iran e Arabia Saudita.
La dichiarazione congiunta ha fermamente condannato Israele, respingendo le sue pretese di “autodifesa”, sostenendo la necessità di un immediato cessate il fuoco e chiedendo lo stop alla vendita di armi al Governo Netanyahu. Tuttavia, dietro la facciata del testo approvato all’unanimità rimangono profonde divisioni. Al di là delle parole, che danno una risposta formale al crescente sentimento di rabbia delle popolazioni musulmane di tutto il mondo, poche misure concrete sono state approvate dai paesi convocati all’incontro. “Se non disponiamo di reali strumenti di pressione, qualsiasi discorso non avrà alcun significato”, ha infatti avvertito il presidente siriano Bashar al Assad, accolto di nuovo quest’anno nella Lega Araba dopo oltre 10 anni di assenza.
In prima fila a chiedere misure concrete c’era l’Algeria, che ha proposto di recidere ogni legame economico e diplomatico con il Governo Netanyahu, forniture di petrolio incluse. Ipotesi, questa, a cui si sarebbero opposti paesi come gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Ad andare in fumo, poi, è stata anche la proposta iraniana di non riconoscere la legittimità dello Stato di Israele e di equiparare il suo esercito a un’organizzazione “terroristica”. Un’idea fortemente criticata da numerose nazioni che, come l’Arabia Saudita, vogliono innanzitutto evitare che il conflitto possa estendersi a tutta la regione.
Spaccature, queste, che non hanno comunque impedito a Erdogan di vedere il bicchiere mezzo pieno. Per il presidente turco, anche lui contrario alle richieste di tagliare il petrolio a Israele, a Riyad si sarebbero messe nero su bianco “una miriade di cose che non erano mai state dette prima”, come quella di considerare come terroristi i coloni dei territori occupati. Erdogan ha poi voluto mettere sul tavolo la questione delle armi nucleari, proponendo una conferenza sulla non proliferazione che porti all’invio di ispettori in territorio israeliano. “Siamo di fronte a una barbarie senza precedenti nella storia”, ha spiegato il presidente turco, che ha definito il paese di Netanyahu come un “killer di bambini viziato dall’Occidente”.