di Gionata Chatillard
È un periodo natalizio più che mai movimentato quello che sta vivendo Belgrado, dove l’opposizione continua a protestare per chiedere l’annullamento delle elezioni legislative. La scorsa domenica, migliaia di persone si sono radunate nel centro della capitale serba accusando il presidente Aleksandar Vucic di aver comprato i voti con cui il Partito Progressista ha vinto le consultazioni del 17 dicembre. Quando diversi manifestanti filo-occidentali hanno iniziato a lanciare sassi provando a fare irruzione nel municipio di Belgrado, dove ha sede la commissione elettorale, la polizia ha disperso la folla usando lacrimogeni e manganelli.
Secondo il Governo serbo, l’azione delle forze dell’ordine si sarebbe resa necessaria per stroncare sul nascere una “rivoluzione colorata” manovrata dall’estero. La premier Ana Brnabiс ha in questo senso espresso la sua gratitudine ai servizi segreti della Federazione Russa, che avevano messo in allerta Belgrado riguardo alla protesta che si stava preparando.
Una protesta che è stata in qualche modo simile all’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio del 2021, quando i sostenitori di Trump riuscirono a entrare senza troppi impacci nella sede del Parlamento degli Stati Uniti d’America. O a quello di Brasilia dello scorso gennaio, quando anche i simpatizzanti di Bolsonaro riuscirono a fare irruzione nei palazzi del Potere. I protagonisti di quelle invasioni furono però subito messi alla berlina dalla stampa mainstream occidentale, che non esitò a definirli come pericolosi “negazionisti” intenti a sovvertire la democrazia per rovesciare un Parlamento legittimamente eletto. Quella stessa stampa che oggi -forse in virtù di una qualche forma di “bipensiero” orwelliano- è invece in prima fila a sostenere le ragioni di chi ha assaltato il municipio di Belgrado per mandare a casa Vucic, dando prova per l’ennesima volta di saper usare alla perfezione due pesi e due misure a seconda delle evenienze.
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