di Fabio Belli
L’ordine di Washington di rimuovere le barriere disposte dal Texas, per tentare di arginare la crisi migratoria al confine con il Messico, sta scatenando una lotta senza precedenti tra il governo federale e un numero sempre più crescente di stati.
Nei giorni scorsi la Corte Suprema, con un voto di 5 contro 4, aveva accolto un’istanza presentata dal governo federale, che chiedeva la rimozione delle barriere. Il governatore texano, Greg Abbott, e il suo procuratore generale, Ken Paxton, avevano reagito però con durezza, accusando Biden di consentire una vera e propria invasione degli Stati Uniti e dichiarando un vero e proprio stato di guerra facendo riferimento all’Articolo 1, Sezione 10, Paragrafo 3 della Costituzione degli Stati Uniti, che consente ad uno Stato di difendersi da solo, nel caso non possa farlo il governo federale.
Una grave crisi istituzionale, dunque, che sta creando non pochi grattacapi a Washington dopo che Florida, Oklahoma, Arkansas e Montana hanno subito appoggiato il Texas. Successivamente, il numero di stati in supporto è arrivato a 25. Un supporto caldeggiato soprattutto dagli avversari di Joe Biden che, con la campagna elettorale in corso, stanno pensando bene di prendere la palla al balzo per mettere sotto scacco l’attuale amministrazione.
Allo stato attuale, l’amministrazione Biden potrebbe benissimo decidere di sottomettere lo stato texano inviando l’esercito per uno scontro inevitabile contro la Guardia Nazionale del Texas. Sul tema della faida è intervenuto anche il vice presidente del Consiglio di Sicurezza russo, Dmitry Medvedev, secondo cui gli Stati Uniti dimostrerebbero “una totale incapacità di far fronte alla crisi migratoria”. Un altro esempio lampante”, continua Medvedev, “dell’indebolimento dell’egemonia americana che, stavolta, avviene al loro interno a causa delle azioni di loro stessi”.