di Fabio Belli
È fallito il referendum svoltosi domenica 21 aprile nel nord del Kosovo per la destituzione dei sindaci di etnia albanese nei quattro maggiori Comuni a maggioranza serba.
I numeri del boicottaggio sono stati in linea con l’affluenza alle urne delle ultime elezioni pari ad appena il 3,5%. Un’affluenza che un anno fa permise comunque alla minoranza albanese di eleggere i propri candidati sindaci e che scatenò tensioni e violenze.
Il Kosovo, ex provincia serba diventata indipendente grazie alla longa manus occidentale, è a maggioranza etnica albanese, ma annovera circa 50.000 serbi nel nord del paese che rifiutano il governo di Pristina e vedono Belgrado come loro capitale.
Lo scorso settembre il governo locale, su pressioni occidentali, aveva acconsentito ad annullare le elezioni nel nord del Kosovo e a indirne di nuove dopo che i serbi avevano boicottato a stragrande maggioranza il voto amministrativo dell’aprile 2023.
Ma il piano di Pristina per un referendum pre-elettorale per chiedere se i quattro sindaci debbano essere licenziati è stato respinto dal principale partito locale Srpska Lista, affermando che i primi cittadini, aventi un supporto esiguo tra la popolazione, avrebbero dovuto semplicemente dimettersi prima del voto. Il partito aveva anche esortato i serbi locali a boicottare le elezioni suppletive del sindaco, ciò aveva alimentato le tensioni tra Belgrado e Pristina.
La disputa sui quattro sindaci si è intensificata alla fine del 2022 con l’abbandono di tutte le cariche ufficiali da parte dei serbi dopo che il Kosovo aveva deciso di imporre targhe automobilistiche della propria provincia.
Tra Belgrado e Pristina il braccio di ferro continua.