di Gionata Chatillard
Potrebbe essere la più grande mobilitazione universitaria dai tempi della guerra in Vietnam. Con la loro protesta a sostegno della causa palestinese, gli studenti di alcuni fra i più prestigiosi atenei statunitensi stanno creando non pochi grattacapi ai loro rettori, ma anche alla classe politica in generale, che nel difendere Israele si sta mostrando più compatta che mai. Se sul dossier ucraino Repubblicani e Democratici hanno spesso mostrato posizioni contrastanti, sulla questione palestinese non c’è praticamente stato neanche bisogno di discutere, come dimostra il pacchetto di aiuti al Governo Netanyahu approvato quasi all’unanimità dai parlamentari a stelle e striscie.
Ciò che sta succedendo nelle università statunitensi dimostra quindi come la politica sia sempre più staccata dalla vita reale dei cittadini. Gli studenti, che non avevano fatto molto per opporsi all’escalation in Ucraina, si sono invece messi sul piede di guerra per denunciare la brutale operazione militare con cui Israele sta castigando i palestinesi di Gaza. Dove non arriva la politica, verrebbe da dire, arriva la piazza.
Le proteste più significative sono partite dalla Columbia University, nel cuore di New York, dove più di 100 manifestanti sono stati arrestati. A chiamare le forze dell’odine ci ha pensato direttamente il rettore, sicuramente memore di quanto successo 4 mesi fa, quando la presidente di Harvard si era vista costretta a rassegnare le dimissioni dopo essere stata messa alla gogna per il suo presunto “antisemitismo”. Oltre a chiamare la polizia per far sgomberare i presidi studenteschi, il massimo dirigente della Columbia University ha anche risfoderato dalla cassetta degli attrezzi la più che mai utile didattica a distanza, sempre pronta all’uso dopo la sperimentazione di massa messa in atto nel periodo psico-pandemico.
Le proteste di New York, però, non sono state un fatto isolato, anzi. Gli studenti di altri atenei hanno infatti subito seguito l’esempio di quelli della Columbia University. Per esempio a Yale, dove decine di loro sono stati arrestati, o a Harvard, che lo scorso lunedì ha deciso di chiudere direttamente i cancelli al pubblico per evitare le proteste. La lista potrebbe continuare e, passando dall’Australia, potrebbe arrivare fino in Italia, e concretamente a Torino, dove ieri gli universitari si sono scontrati con la polizia mentre contestavano il ministro Antonio Tajani, che con altri suoi pari era stato invitato a un convegno del Politecnico.
Ciò che chiedono gli studenti di mezzo mondo è che le Università straccino i progetti di ricerca finanziati dal Governo Netanyahu. Il solo MIT, prestigiosissimo ateneo del Massachusetts, ha ricevuto negli ultimi anni più di 11 milioni di dollari direttamente dal Ministero della Difesa israeliano. Soldi che, per gli studenti che protestano, rendono la loro università complice di un “brutale genocidio” che ha già ucciso più di 34.000 palestinesi, in gran parte bambini.