di Jeff Hoffman
Un passo indietro e tre passi avanti. Così possiamo descrivere le annunciate dimissioni da presidente esecutivo dell’86enne fondatore del Forum Economico di Davos, Klaus Schwab, anche definito “l’uomo di Davos”.
Stando alla mail inviata da Schwab ai dipendenti della struttura amministrativa, il vecchio presidente assumerà nel 2025 il ruolo di presidente “non esecutivo” a capo della Fondazione, mentre fra i nomi papabili per la sostituzione spicca l’attuale factotum e vice di Klaus Schwab, Borge Brende, insignito dell’Ordine al merito dal fu Belpaese, ex ministro degli Esteri norvegese già membro di spicco del club Bilderberg ed ex presidente della Commissione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile.
“Si chiude l’era del governo mondiale”, azzardano alcuni analisti, senza però soffermarsi al cambio di programma precedentemente previsto dal World Economic Forum che, guarda caso, aveva già messo nel mirino gli Stati-Nazione del sud del mondo che, in seguito allo scontro ucraino fra occidente e Russia sono in pieno sviluppo economico, sociale e culturale.
Schwab “ha un complesso di Dio e pensa di far parte dello 0,1 per cento più in forma. Ma nessuno è immortale”, ha dichiarato un veterano anonimo della prima ora sul sito web Politico aggiungendo poi come sia folle che non ci sia un piano di successione.
Il capo dei media del WEF, Yann Zopf, ha insistito sul fatto che sarà il consiglio di amministrazione a decidere il successore di Schwab ma, tuttavia, emerge dagli statuti che la famiglia Schwab rimarrà comunque seduta a quel tavolo.
In una gestione molto simile a un’azienda familiare o a un clan mafioso, infatti, Klaus Schwab ha posto l’intera famiglia in posizioni di alto rilievo decisionale.
Inizialmente noto come European Management Forum il “circolo” di Davos, le cui radici affondano negli anni 70 del secolo scorso, ha sapientemente unito, in un’unica cupola decisionale, i manager delle più potenti multinazionali e dei fondi di investimento con innumerevoli capi di stato camerieri degli interessi geoeconomici dei cosiddetti padroni universali.
Dimissioni o non dimissioni, dunque, l’uomo di Davos resterà saldamente al timone della kermesse globalista nota come World Economic Forum.







