di Gionata Chatillard
È scaduto ormai da una settimana l’accordo cinquantennale che impegnava l’Arabia Saudita a fissare il prezzo del petrolio in dollari. Un patto che Riyad firmò con Washington nel lontano 1974 e che adesso non pare intenzionata a rinnovare. Nel nuovo contesto geopolitico sorto con la guerra in Ucraina, i sauditi non vogliono privarsi della possibilità di vendere petrolio in rubli o yuan, per venire incontro alle esigenze non solo di Russia e Cina, ma di qualunque altro paese castigato dalle sanzioni occidentali.
L’accordo in questione è stato storicamente fondamentale per agganciare il dollaro al prezzo del greggio dopo che un paio di anni prima, nel 1972, Washington decise di disaccoppiare la propria valuta dall’oro. Il patto con Riyad, che oltre ad essere economico era anche militare, ha contribuito così in modo decisivo al predominio della moneta statunitense in tutto il pianeta. Il fatto che l’Arabia Saudita non lo abbia rinnovato potrebbe quindi portare a grossi cambiamenti nel paradigma finanziario globale. O, per meglio dire, ad accelerare questi cambiamenti, che sono in realtà già iniziati da tempo, nel contesto di una de-dollarizzazione che avanza senza pausa. Almeno da quando gli Stati Uniti stanno provando a emarginare economicamente i principali rivali geopolitici. Finora, con scarsi risultati.