di Gionata Chatillard
Esultano a Washington dopo la retromarcia di Tbilisi sul disegno di legge mediante il quale il Governo intendeva schedare gli agenti stranieri operanti sul territorio della Georgia. “Accogliamo con favore la decisione”, ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price, congratulandosi con le autorità del paese caucasico per aver abortito quella che secondo lui sarebbe stata un’iniziativa “incompatibile con i valori euro-atlantici e con la tutela delle libertà fondamentali”.
Il controverso disegno di legge proposto dall’Esecutivo georgiano avrebbe obbligato le organizzazioni non governative e gli organi di stampa a registrarsi come “agenti stranieri” qualora più del 20% dei loro finanziamenti provenisse dall’estero. Una misura che la scorsa settimana avrebbe fatto scendere in piazza decine di migliaia di persone. Gli scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine hanno però ricordato a molti le prime fasi del colpo di Stato ucraino del 2014. La situazione si è momentaneamente calmata dopo la retromarcia del Governo, accusato dai manifestanti filo-occidentali di voler copiare una legge di stampo russo per limitare le libertà delle ONG operanti in Georgia.
In realtà, norme del genere a protezione della sovranità nazionale esistono anche nelle democrazie occidentali, a cominciare dagli stessi Stati Uniti. Tanto che le autorità georgiane, per venire incontro alle esigenze della Casa Bianca, avevano anche cercato di modificare il testo della legge in questione e, per non sbagliarsi, avevano deciso di ricalcarlo per filo e per segno su quello di una norma che nel paese nordamericano è in vigore fin dal lontano 1938. Neanche questo è però stato sufficiente a calmare Washington e Bruxelles, con la prima che continuava ad agitare il fantasma delle sanzioni e la seconda che minacciava di chiudere per sempre le porte dell’Unione Europea a Tbilisi.
Un Occidente che continua a non tollerare che ad altre latitudini si faccia ciò che invece Washington e i suoi alleati considerano perfettamente lecito a casa propria. E questo non solo perché negli Stati Uniti o in Australia vigono già norme simili a quella che intendevano approvare le autorità georgiane, ma anche perché il Canada si sta attrezzando proprio in questi giorni per vararne una di questo stesso tipo.
A riferirlo nelle ultime ore è stato il Governo di Ottawa, annunciando che avvierà consultazioni pubbliche per la creazione di un registro nazionale degli agenti stranieri. Un’iniziativa, ha precisato il ministro della Sicurezza Pubblica Marco Mendicino, che si sarebbe resa necessaria per “tutelare le istituzioni democratiche dalle interferenze di altri paesi”. Esattamente la giustificazione data dalle autorità georgiane, a cui però non è stato concesso di poter difendere la propria sovranità di fronte all’invadenza del soft power straniero. La differenza che salta all’occhio, semmai, è che a Tbilisi le ingerenze sono di stampo occidentale, mentre a Ottawa sarebbero invece cinesi, con il premier Justin Trudeau accusato dalla stampa conservatrice di essere stato aiutato da Pechino nelle ultime elezioni. Perché se è vero che tutte le ingerenze sono uguali, alcune sembrano sempre essere più uguali delle altre.