di Domenico D’Amico
La schizofrenia dei provvedimenti dell’UE in tema di agricoltura impressiona da sempre: l’Italia in particolar modo è sempre stata oggetto di particolari attenzioni e vessazioni.
Dalle quote latte, che già negli anni ’80 assillavano i nostri allevatori e che alla fine son costate al sistema Paese 4,4 miliardi di euro, ai metodi artigianali di produzione casearia considerati ‘poco igienici’, fino alla difficoltà nel vedersi riconosciuta la specificità dei nostri prodotti.
La relazione tra la biodiversità italiana e la voglia di omologazione europea è stata sempre burrascosa.
Se in Europa vi è ancora una forte resistenza e leggi sfavorevoli ai prodotti OGM, è proprio perché l’Italia ha giocato finora abbastanza bene la sua partita, anche se sembra sempre più prossimo il momento in cui andranno a cadere le fragili barriere costruite. Questa resistenza italiana ha come contraltare l’arroganza franco-tedesca, che continuamente prova a mettere in difficoltà il sistema italiano, attraverso la promozione di leggi europee dalle finalità spesso predatorie e opportunistiche. Indicativi in questo senso due ultimi provvedimenti: uno riguarda la materia prima per fare il formaggio, che da adesso in poi potrebbe essere anche il latte in polvere. “E’ in corso – sottolinea la Coldiretti – un pericoloso braccio di ferro che potrebbe portare alla chiusura delle stalle, alla perdita di posti di lavoro, all’omologazione e all’appiattimento qualitativo della produzione nazionale dopo la lettera di diffida inviata all’Italia dalla Commissione Europea, che è stata purtroppo sollecitata dall’associazione italiana delle Industrie lattiero casearie (Assolatte)”.Rischiano di scomparire, secondo Coldiretti, le produzioni di 487 formaggi tradizionali italiani; il fatto che immediatamente le importazioni di Francia e Germania di latte in polvere siano aumentate è un possibile segno di un prossimo aumento della loro presenza nel settore caseario, con conseguente omologazione dei prodotti sul mercato. L’altro provvedimento riguarda invece una strana norma che imporrebbe alle aziende agricole di cambiare la tipologia di coltura ogni anno: se un anno coltivi mais, l’anno successivo dovresti produrre grano, per esempio. Qualcuno potrebbe pensare a una sana rotazione delle colture, ma cosa ne sarebbe dei molti investimenti potenzialmente messi in crisi da un così repentino cambio di rotta? In Veneto la produzione di mais verrebbe di fatto dimezzata e la stessa cosa succederebbe con il grano in Puglia. Queste sono decisioni di politica agricola importanti e strategiche, e se vengono calate dall’alto degli uffici di Bruxelles il dubbio di influenze lobbistiche diventa rapidamente certezza. La mancanza di forza e capacità della politica italiana in Unione Europea si misura anche e soprattutto su queste cose, che riguardano migliaia di aziende agricole e casearie del nostro Paese, che rischiano di scomparire o di essere comprate dal peggior offerente.