di Jeff Hoffman
L’udienza fissata dalla Corte d’Inghilterra per oggi e domani, 20 e 21 febbraio, stabilirà se il giornalista co-fondatore di Wikileaks, Julian Assange, potrà appellarsi o meno contro l’estradizione voluta da Washington.
L’accusa contro Assange è quella di aver svelato verità indicibili su crimini di guerra e molto altro. “In attesa di giudizio” da parte del mondo libero e democratico, Assange ha già scontato 7 anni di esilio nell’ambasciata ecuadoriana e 5 anni di carcere di massima sicurezza a Londra.
Nelle udienze del 20 e 21 febbraio, quindi, i due giudici della Corte Reale di Giustizia britannica non entreranno nel merito delle accuse fatte ad Assange ma decideranno invece se “permettere” un ultimo appello o, come fece Ponzio Pilato, lavarsene le mani e affidare il giornalista nelle mani degli Stati Uniti.
“Chi volete libero: Assange o Hitler?”, sembra chiedere una voce dal tempio. Julian Assange è un beniamino dei gruppi terroristici mentre Wikileaks altro non è che un servizio di intelligence ostile e non statale”. Queste le parole dell’ex Segretario di Stato sotto l’amministrazione Trump, Mike Pompeo, già direttore della CIA che, stando alle indagini degli inquirenti spagnoli, aveva pianificato il sequestro e l’uccisione di Julian Assange.
Tuttavia, l’attesa decisione della Corte può ancora salvare la vita del coraggioso giornalista australiano ma, alla resa dei conti, non avrà alcun effetto sulla libertà di stampa che, come evidente, è già morta e sepolta da almeno un quarto di secolo.
D’altro canto, di fronte all’ingiusta detenzione di un uomo e alla soppressione sistematica del giornalismo indipendente, così come davanti alla carneficina dei palestinesi di Gaza, espressioni come “diritti umani” e “stato di diritto” non hanno più alcun significato.