di Margherita Furlan
Il Pakistan sfida gli Stati Uniti e inizia a costruire un gasdotto con l’Iran. “Le autorità hanno iniziato i lavori per la costruzione di una sezione di 80 chilometri del gasdotto Pakistan-Iran da Gwadar fino al punto in cui potrà essere collegato al gasdotto iraniano”.
La costruzione è iniziata prima della prevista visita del presidente iraniano Ebrahim Raisi in Pakistan il 22 aprile ed evidentemente avviene nel contesto dell’apparente disapprovazione degli Stati Uniti. In precedenza, un portavoce del Dipartimento di Stato aveva affermato che “fare affari con l’Iran comporta il rischio di entrare in contatto con le nostre sanzioni”.
Intanto il ministero del Commercio della Turchia annuncia misure restrittive nei confronti di Israele. Da oggi, Ankara limiterà le esportazioni di un’ampia gamma di prodotti verso Tel Aviv, fintantoché non verrà dichiarato e applicato un cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza. La lista dei beni soggetti a restrizioni prevede ben 54 categorie: dai prodotti siderurgici a quelli per l’edilizia, dai fertilizzanti ai carburanti per l’aviazione. Le misure sanzionatorie sono la prima misura ragguardevole adottata dalla Turchia contro Israele dall’inizio dell’operazione Spade di Ferro. D’altronde, durante i primi sei mesi del conflitto, il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha dovuto affrontare diverse critiche sui persistenti legami economici con Israele.
Il tutto avviene mentre a Damasco, il ministro degli Esteri della Repubblica Islamica dell’Iran, Hossein Amir-Abdollahian ha inaugurato una nuova sede consolare a Damasco, che prenderà il posto di quella distrutta dal bombardamento israeliano del 1° aprile. Il ministro ha quindi avvertito che Israele “sarà punito” per l’attacco che ha ucciso anche alti generali dei Guardiani della rivoluzione.
E dal Vecchio Continente giunge l’ennesima mossa del presidente francese, Emmanuel Macron, che con il presidente egiziano Abdel al-Sisi e il re giordano Abdullah II, chiede a Israele un cessate il fuoco immediato e a Hamas la liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza, avvertendo poi Israele delle «pericolose conseguenze» di un’offensiva su Rafah.
«La guerra a Gaza e le catastrofiche sofferenze umane che sta causando devono cessare immediatamente», si legge nell’intervento firmato dai tre capi di Stato pubblicato su quattro giornali in Francia (Le Monde), Stati Uniti (Washington Post), Giordania (Al-Rai) e Egitto (Al-Ahram). Nell’articolo, Macron, Sisi e Abdullah chiedono inoltre un «massiccio aumento della fornitura e della distribuzione di aiuti umanitari» a Gaza perché «la carestia per i palestinesi non è più solo un rischio, sta già avvenendo». I tre leader poi tornano a sostenere la soluzione dei due Stati. «Nessuna pace in Medio Oriente può derivare dal terrorismo, dalla violenza o dalla guerra. Essa deriverà dalla soluzione dei due Stati», si legge nel testo, che esorta poi Israele a porre fine alle «attività di colonizzazione» e alla «confisca delle terre» e a «prevenire la violenza dei coloni».
In effetti, in senso opposto alla direzione della Germania, si fa largo in molti Paesi europei l’idea di riconoscere lo Stato palestinese. Giovedì 4 aprile anche il premier spagnolo, Pedro Sanchez, ha assicurato che agirà «il prima possibile, quando ci saranno le condizioni e in modo tale che questa decisione abbia l’impatto più positivo possibile», mentre il suo ministro degli Esteri, José Manuel Albares, ha reso noto anche il termine del 1° luglio entro il quale il riconoscimento verrà proclamato.
Dieci dei ventisette Stati membri dell’Unione europea già riconoscono lo Stato palestinese. Oltre alla Spagna, anche Irlanda, Slovenia e Malta hanno annunciato la volontà di riconoscere la Palestina in una lettera del 22 marzo, e la Francia potrebbe seguire dopo che Macron ha dichiarato a fine febbraio che «il riconoscimento di uno Stato palestinese non è un tabù».