di Margherita Furlan
Hamas ha chiamato per domani una «giornata della rabbia». «Marce infuriate partano da ogni moschea» dopo la grande preghiera del venerdì, ha chiesto Hamas. Israele deve aspettarsi la «risposta inevitabile di Hezbollah: ha oltrepassato la linea rossa colpendo a Beirut e Teheran. La battaglia contro Israele è entrata in una nuova fase. Siamo in una battaglia aperta su ogni fronte.» Parole del leader del movimento, Hassan Nasrallah, riferendosi agli omicidi del comandante Shukr e del capo politico di Hamas, Haniyeh. Israele pagherà un «caro prezzo». Lo ha ribadito il presidente del Parlamento iraniano, Mohammad Bagher Qalibaf. «E’ nostro dovere reagire nel posto giusto e al momento giusto», ha aggiunto, definendo le uccisioni «atti di terrore che non avranno alcun impatto sul nostro percorso». D’altronde, aver eliminato il capo dell’ufficio politico di Hamas a Teheran, il giorno dopo la cerimonia di investitura del nuovo presidente “riformatore”, Masoud Pezeshkian, è una sfida a cui la Guida suprema Ali Khamenei reagisce alzando i toni contro lo “Stato terrorista sionista”. E avverte che ci sarà una rappresaglia.
La reazione contro Israele, prevista nelle prossime 72 ore, prevede un’azione simultanea da parte di sei paesi. L’Iran ha inviato un messaggio anche ad altri paesi arabi avvertendoli che se aprissero lo spazio aereo a Israele per contrastare la ritorsione dopo la ritorsione dell’Iran, ciò renderebbe quel paese un bersaglio probabile per le forze iraniane. D’altronde Egitto, Marocco, Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti non hanno condannato l’assassinio di Ismail Haniyeh a Teheran.
Khamenei proverà ad alzare di qualche grado la guerra per procura contro Israele, ma senza superare la linea rossa dello scontro diretto. Hamas reagirà, lo farà anche Hezbollah e ancor più gli houthi yemeniti, ma sempre dentro una dimensione gestibile. Hamas ha un nuovo “martire” da esaltare. Netanyahu uno “scalpo” da esibire. Con Yahya Sinwar, legato a triplo filo con le Brigate Ezzedin al-Qassam, al posto di Ismail Haniyeh, la negoziazione tra le parti si fa sempre più dura, mentre Israele, lacerato al suo interno, diviene ancora più dipendente dal premier più longevo della sua storia.