di Gionata Chatillard
Fra un G7 e una crisi del debito, Joe Biden non ha proprio trovato il tempo per recarsi in Papa Nuova Guinea. A far proseliti in Oceania ci ha dunque pensato il capo della diplomazia statunitense, Antony Blinken, che ha firmato con le autorità locali un accordo di collaborazione militare. Per Washington, impegnata in una campagna acquisti senza sosta per le acque del Pacifico Occidentale, non c’è infatti paese o arcipelago che non valga il prezzo del biglietto. Soprattutto quando si tratta di sottrarlo alla sfera d’influenza cinese.
In Papa Nuova Guinea, Blinken era stato preceduto di poche ore dal premier indiano Narendra Modi. Ma se questi si era concentrato sulle questioni economiche, volendo più che altro ritagliarsi un ruolo da portavoce dei paesi emergenti presso le istanze che contano, il segretario di Stato statunitense ha invece posto le basi per una militarizzazione del paese oceanico, abitato da circa 10 milioni di persone. Verosimilmente, il patto di Difesa appena siglato permetterà infatti a Washington di aumentare il proprio contingente nella regione usando come punto d’appoggio le strutture militari locali. In cambio, Blinken ha annunciato decine di milioni di dollari in investimenti da parte di aziende americane.
La firma dell’intesa -da leggersi anche come una risposta al recente accordo siglato da Pechino con le vicine Isole Salomone- ha scatenato proteste in diverse università del paese. Mentre gli studenti reclamavano un passaggio parlamentare prima di ratificare il patto, l’opposizione sottolineava come questo non farà altro che peggiorare le relazioni con la Cina. E sebbene il premier James Marape abbia assicurato che l’intesa “non ha nulla a che fare con Pechino”, dalla Repubblica Popolare si sono comunque sentiti chiamati in causa, tanto che il Ministero degli Esteri ha avvertito che “nessuna cooperazione dovrebbe prendere di mira terze parti”.
Al di là dell’accordo con la Papua Nuova Guinea, il risentimento cinese è motivato anche dall’accelerazione dell’espansionismo statunitense nel Pacifico Occidentale. Recentemente, Washington ha infatti firmato un accordo strategico con Palau, e ne ha già in canna altri 2: uno con la Micronesia, la cui firma era prevista per quest’oggi, e uno con le Isole Marshall. Oltre a ciò, gli Stati Uniti hanno anche riaperto la loro ambasciata nelle Isole Salomone, annunciando l’intenzione di fare altrettanto a Vanuato, Kiribati e Tonga. Ma di tutto ciò, ribadisce la Casa Bianca, Pechino non dovrebbe affatto preoccuparsi.