di Domenico D’Amico
E’ notizia di oggi che l’Ilva di Taranto non è in grado di pagare la bolletta del gas: mancano infatti i cento milioni di euro dovuti al fornitore di gas.
Rischia quindi di spegnersi lentamente o di passare definitivamente in mani straniere una delle produzioni più strategiche di un paese industriale: l’acciaio.
La storia più che secolare della produzione di acciaio italiana si identifica con la storia di Italsider, la progenitrice di Ilva, una delle più importanti industrie siderurgiche del mondo, con l’impianto di Taranto al vertice europeo.
Di proprietà pubblica per settant’anni, l’Italsider è stata protagonista anche della scena culturale, finanziando film, documentari, vita culturale, oltre ad essere al centro della vita economica di Taranto, Piombino, Novi Ligure e degli altri siti produttivi. Fondamentale il ruolo della produzione di acciaio per altre industrie del paese: su tutte quella automobilistica e la cantieristica navale, entrambe spina dorsale dell’industria meccanica italiana.
La crisi degli anni ’80 e le privatizzazioni hanno smembrato l’Italsider, e con la famiglia Riva nella proprietà dell’Ilva si avviava negli anni novanta un periodo di crisi, scandali e di gravi problemi ambientali e di produzione, che si son trascinati fino al 2015, con la nazionalizzazione, e poi l’ingresso del 2018 nella società del nuovo socio di maggioranza, il colosso mondiale Arcelormittal assieme al socio pubblico di minoranza, Invitalia. I grandi propositi di rilancio con una produzione ‘green’, con il sostegno di un finanziamento previsto nel PNRR di un miliardo di euro, sembrano essersi arenati, con diversa destinazione da parte del governo.
E la relazione in Commissione Attività Produttive del Presidente Bernabè è stata a tratti drammatica, con la decisione finale di mettere le sue dimissioni sul tavolo.
Il mancato accesso al credito di un colosso da tre miliardi di euro di fatturato, che ha continua necessità di investimenti strutturali, rende infatti impossibile il finanziamento delle spese correnti e quindi tutti restano in attesa di una strategia credibile, dopo che però lo Stato ha investito per anni miliardi di euro.
Il solito finale beffa di una partecipata statale è dietro l’angolo: il salvatore straniero che si prende tutto per un piatto di lenticchie.
Questa volta vorrebbe dire un addio quasi definitivo del sistema industriale italiano.