di Gionata Chatillard
Nonostante la tanto annunciata rivoluzione green, le grandi compagnie energetiche occidentali non hanno affatto rinunciato alle esplorazioni petrolifere. Recentemente si è parlato molto degli enormi giacimenti scoperti al largo della Guyana. Il piccolo paese sudameridano, che ha meno di un milione di abitanti, ha addirittura sorpassato il Venezuela come esportatore di greggio facendo affidamento sul know how dei colossi energetici occidentali, in aperta competizione fra loro per portarsi a casa le risorse dell’ex colonia britannica. Tuttavia, eccettuando la Guyana e i giacimenti scoperti negli ultimi anni dalla Norvegia nel Mare del Nord, l’attenzione delle Big Oil sembra oggi più che mai rivolta al continente africano, dove è già in atto una vera e propria corsa al petrolio.
A dare il via alle danze è stata la scoperta di enormi riserve di greggio al largo della Namibia. Riserve che, almeno per il momento, sembrano particolarmente redditizie, dal momento che quasi la totalità dei pozzi offshore esplorati negli ultimi 2 anni si è rivelata adatta alla commercializzazione del petrolio. Un particolare non da poco, dal momento che le trivellazioni -realizzate a migliaia di metri sotto il livello del mare- sono tutt’altro che economiche. Ma se il tasso medio di successo riguarda di solito circa il 30% delle esplorazioni effettuate, al largo della Namibia questa percentuale arriva addirittura, almeno per il momento, al 90%.
Trivellare nel paese africano, quindi, conviene eccome. Tanto che i successi di compagnie come Total, Shell e Galp stanno già incoraggiando altre compagnie petrolifere a indirizzare maggiori investimenti nell’esplorazione di nuovi giacimenti non solo in quella regione, ma anche nel resto del continente, come ad esempio in Costa d’Avorio.
Il settore in Africa è dunque in piena espansione. E non solo perché lì è concentrata buona parte delle riserve globali di greggio non ancora utilizzate, ma anche perché i Governi della regione -al contrario di ciò che impongono molte giurisdizioni occidentali- sono spesso i primi a incoraggiare nuove esplorazioni. Anche quando, per farlo, si vedono costretti a mettersi nelle mani delle grandi multinazionali del settore, il cui curriculum in materia non è precisamente senza macchie.