di Margherita Furlan
Nel Caucaso, domenica 23 giugno, alcuni uomini armati hanno aperto il fuoco contro una sinagoga, una chiesa ortodossa e una centrale di polizia in due città del Daghestan – Makhachkala, la capitale e Derbent, sede di un’antica comunità ebraica e patrimonio mondiale dell’Unesco. Il bilancio delle vittime è di 19 persone morte, 15 agenti di polizia e quattro civili. Al momento non vi è stata alcuna rivendicazione dell’attentato, sebbene il governatore Melikov abbia sottinteso la matrice jihadista: “Sappiamo chi c’è dietro l’organizzazione degli attacchi terroristici e quale obiettivo perseguono”. Nel centro di Derbent si trova un monumento alla fratellanza delle tre religioni, rappresentate da un rabbino, un prete ortodosso e un mullah. Ogni figura ha il proprio prototipo reale; il sacerdote al centro della composizione è padre Nikolay Kotelnikov, simbolo della pace interreligiosa, ucciso con un taglio alla gola dai terroristi. Il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia ha espresso le condoglianze alle famiglie e agli amici dei morti e dei feriti. Secondo lui bisogna fare di tutto per reprimere i tentativi di radicalizzare la vita religiosa. “Ciò che è accaduto oggi non ha nulla a che fare con la religione islamica”, ha affermato Abdula Akhalov, presidente del Consiglio degli imam di Makhachkala. La città di Derbent è a maggioranza sciita. I terroristi wahabiti odiano sia gli sciiti che i cristiani. C’è da meravigliarsi che abbiano attaccato Derbent? Sono state soprattutto le forze sciite, come Hezbollah e i pasdaran iraniani, con l’aiuto della Russia cristiana, a sconfiggere l’Isis in Iraq e Siria. Tutto torna.