di Gionata Chatillard
Pochi episodi storici come le guerre dell’oppio -scoppiate a metà Novecento fra l’Impero Britannico e quello Cinese- riflettono in modo così nitido i presupposti ideologici del paradigma imperialista che ancora oggi detta le linee della politica estera di molte nazioni occidentali. Si trattò infatti di conflitti che non avevano come obiettivo conquiste territoriali, ma che intendevano costringere la dinastia Qing ad aprire i propri porti al commercio internazionale. Detto in altri termini, le potenze occidentali volevano obbligare i cinesi a comprare i propri prodotti, oppio in primis. Il casus belli fu infatti la decisione di Pechino di restringere il consumo di questa droga fra la popolazione. Londra rispose passando subito dalle buone alle cattive maniere, imponendo con la forza una penetrazione commerciale che in qualche modo sancì l’inizio della decadenza dell’Impero dei Qing.
Ironia della sorte, quasi due secoli dopo le parti sembrano oggi esattamente invertite. Non solo perché la potenza cinese è in rapida ascesa mentre quella anglosassone fa sempre più fatica a imporre il suo modello al resto del mondo, ma anche perché uno dei terreni di scontro è di nuovo una droga, in questo caso il fentanyl. Questo potentissimo oppioide sintetico sta infatti decimando la popolazione statunitense. I morti per overdose sono stati oltre 70.000 nel 2022, il doppio di quelli di 3 anni prima. Una situazione che preoccupa l’Amministrazione Biden in vista delle prossime elezioni e che rappresenta un ennesimo fronte di conflitto con Pechino, dal momento che buona parte del fentanyl che arriva negli Stati Uniti proviene proprio dalla Cina.
Tutto ciò fa sì che questa volta siano quindi gli occidentali a voler chiudere i propri porti alla droga. E a San Francisco, nell’atteso faccia a faccia fra Joe Biden e Xi Jinping, si parlerà anche di questo. Il presidente cinese, però, a differenza di quanto avevano fatto gli anglosassoni quasi due secoli fa, non sembra intenzionato a risolvere la questione usando la forza militare. Xi sembrerebbe anzi propenso a raggiungere un accordo con la Casa Bianca, incassando in cambio un allentamento delle sanzioni statunitensi nell’ambito dei diritti umani. Ai cannoni del Novecento, Pechino preferisce quindi rispondere con la diplomazia.
D’altronde, come ha ammesso lo stesso ambasciatore statunitense in Cina, il problema non è tanto il Governo cinese in sé, quanto i laboratori di droga che sfuggono al suo controllo. Si tratta, detto in altri termini, di iniziative private. Un po’ come privata era la Compagnia delle Indie Orientali, ovvero la società che nel Novecento voleva obbligare la dinastia Qing ad aprire i propri porti ai prodotti occidentali. E che in quel caso, a differenza di quanto succede oggi in Cina, fu totalmente sostenuta dal Parlamento e dall’Esercito dell’Impero Britannico, che non esitarono a dichiarare una guerra per obbligare i cinesi a comprare oppio.