di Margherita Furlan e Jeff Hoffman
Tre ministri ucraini si sono dimessi oggi ma non è ancora chiaro il motivo. Il presidente del parlamento ucraino ha dichiarato che il ministro responsabile della supervisione della produzione di armi durante la guerra, Oleksandr Kamyshin, in carica dal marzo 2023 e anche consigliere di Zelensky, il ministro della Giustizia Denys Maliuska e il ministro dell’Ambiente Ruslan Strilets hanno presentato la lettera di dimissioni. È stata ricevuta una lettera di dimissioni anche dal
presidente del Fondo demaniale dell’Ucraina Vitalii Koval.
Intanto, mentre la terra trema sotto la poltrona di Zelensky, i missili russi hanno colpito il 179esimo Centro d’addestramento delle telecomunicazioni e informatica dell’Esercito a Poltava. Stando a quanto riferito da Kiev, risulterebbero colpiti anche una scuola e un ospedale. Decine sarebbero i morti.
Ma la cooperazione militare tra alleati «lega» i conflitti in Ucraina e Medio Oriente. Bloomberg ha oggi rilanciato un’informazione che era già trapelata mesi fa. Sarebbe imminente – sostengono le fonti – la consegna di missili Fateh 110 iraniani alla Russia. Sono vettori con un raggio d’azione di circa 120 chilometri sviluppati dall’industria della Repubblica islamica. La fornitura è il risultato di un accordo di collaborazione siglato a dicembre ed ora vicino alla sua applicazione. Secondo alcuni osservatori, l’invio dei Fateh potrebbe spingere la NATO a togliere restrizioni agli attacchi in profondità di Kiev con equipaggiamenti occidentali.
Intervenendo all’Istituto statale di Relazioni internazionali di Mosca il capo della diplomazia russa, Sergeij Lavrov, ha invece dichiarato che Mosca e Teheran completeranno i lavori su un accordo globale in un futuro molto prossimo. Fra i punti più decisivi vi è il corridoio Nord-Sud che permetterà di raggiungere da San Pietroburgo il Golfo Persico fino ad arrivare all’Oceano Indiano risparmiando sia tempi che costi di trasporto. Lavrov si è poi soffermato su quella che ha definito “la cooperazione del Caspio”. “Siamo Paesi costieri e anche questa è un’area molto importante della nostra interazione”.
Dal fronte della Turchia, ufficialmente candidata a entrare nei BRICS, mentre i militari della NATO venivano aggrediti in strada dall’Unione della gioventù turca, oggi l’esercito protestava contro la presenza di una nave da sbarco statunitense nel porto di Izmir. La tensione nel vicino Oriente vede infatti la presenza della Theodore Roosevelt nel Golfo di Oman, dell’Abraham Lincoln nel golfo di Aden e della Wasp nella città turca di Izmir.
E il genocidio continua. Nella Striscia di Gaza l’esercito israeliano compie nuovi raid e ordina ulteriori evacuazioni di massa di civili palestinesi allo stremo. Secondo l’ONU, circa il 90 per cento degli oltre due milioni e 100mila abitanti della Striscia sono stati trasformati in sfollati senza casa. La mediazione è appesa a un filo. Per non dire che è nulla. Il punto centrale che pare bloccare l’intesa resta la condizione imposta da Israele a fine maggio, con la quale esige che i suoi soldati restino in pieno controllo su due aree di Gaza. La prima è il cosiddetto corridoio Philadelphia, zona che dovrebbe essere demilitarizzata, larga 100 metri e lunga 14 chilometri, separa Gaza e la dogana di Rafah dal Sinai egiziano. Lo scorso 29 maggio l’esercito israeliano ha assunto il pieno controllo del Philadelphia. Un’ipotesi adesso è che venga preso in gestione da truppe ONU. Il secondo corridoio è quello di Netzarim, lungo oltre 7 chilometri, che divide Gaza Nord dalle zone centro-meridionali. Israele lo utilizza per controllare i movimenti della popolazione e bloccare le armi. Hamas rifiuta categoricamente che possa restare a Israele. Ma a mediare per gli Stati Uniti ora c’è il direttore della CIA, William Burns. Fino a che morte non separi Washington e Tel Aviv.