di Gionata Chatillard
Era l’alba di martedì 19 settembre quando gli agenti dei servizi segreti francesi hanno fatto irruzione nell’abitazione di Ariane Lavrilleux, giornalista di inchiesta con alle spalle diversi articoli che hanno avuto il merito di mettere in piazza i panni sporchi della politica estera dell’Eliseo. Dopo aver perquisito il domicilio della reporter per circa 10 ore, la donna è stata portata in un commissariato di Marsiglia, da dove è potuta uscire solo nella serata di mercoledì, ovvero dopo ben 36 ore di detenzione.
A motivare l’azione dell’Intelligence transalpina sarebbero stati proprio gli articoli scritti da Lavrilleux per la testata Disclose dal 2019 in poi. Si tratta dei cosiddetti Egypt Papers, inchieste esplosive che hanno portato alla luce l’appoggio logistico fornito dalle autorità francesi ai servizi segreti egiziani in diverse esecuzioni extragiudiziali, ma anche la vendita all’Arabia Saudita di armi e aerei che sarebbero poi stati usati da Riyad nel conflitto yemenita.
Articoli, insomma, molto scomodi per i vertici francesi. Tanto che dalla testata Disclose sono più che mai convinti che siano proprio questi reportage ad aver motivato l’azione dei servizi segreti, il cui obiettivo sarebbe quello di fare sputare il rospo a Lavrilleux, ovvero di farle confessare le sue fonti per poi eventualmente incriminare le gole profonde che hanno reso possibile la pubblicazione di quelle informazioni riservate.
A mostrare solidarietà alla giornalista si sono messi in prima fila anche Amnesty International, Reporter Senza Frontiere e la Federazione Internazionale della Stampa, che parlano di un “attacco senza precedenti” proprio alla libertà di stampa, sottolineando inoltre come ad essere detenuti non siano stati i responsabili dei fatti denunciati da Lavrilleux, ma la giornalista stessa, ovvero chi queste atrocità ha avuto il coraggio -e, a quanto pare, anche la colpa- di svelare.