Claudio Fava e la Commissione regionale antimafia dell’Ars
Ci risiamo. Ogni volta che si approssima la data del 19 luglio, con sistematica precisione, piovono insinuazioni e scorrettezze volte a colpire in particolare un magistrato: Nino Di Matteo.
Stavolta a colpire non sono le parole di qualche familiare vittima di mafia, ma le considerazioni della Commissione regionale antimafia dell’Ars che nei giorni scorsi ha presentato la propria relazione (la seconda per l’esattezza) sul depistaggio della strage di via d’Amelio.
Considerazioni che, ovviamente, i soliti giornaloni non hanno mancato di riportare.
E’ tutto contenuto nel capitolo dedicato a Gaspare Spatuzza, il reo confesso dell’omicidio di don Pino Puglisi, che nel 2008 si autoaccusò anche del furto della Fiat 126 usata per la strage di via D’Amelio. E’ grazie a lui se oggi su via d’Amelio è stata scritta un’altra pagina di storia.
La Commissione regionale parte dalla trascrizione, riportata nella richiesta di archiviazione della Procura di Messina – poi accolta dal Gip – nell’inchiesta contro i magistrati Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, di una riunione del 22 aprile 2009 davanti la Direzione nazionale antimafia. I magistrati delle Procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo, erano stati convocati per una prima valutazione su quella collaborazione e per esprimere un parere sull’inserimento di Spatuzza nel programma di protezione.
Ebbene viene evidenziato che in quella riunione ci furono due interventi di Di Matteo, a stralci.
Entrambi estrapolati senza contestualizzare il momento in cui erano state dette.
Perché misurandosi con sentenze che comunque erano definitive è ovvio che l’approccio degli organi inquirenti è di cautela.
Il primo riferimento riportato dalla Commissione è il seguente: “Il dottor Di Matteo ha pure rilevato che non sempre Spatuzza, a suo giudizio, ha affermato il vero; ha aggiunto che la collaborazione di Spatuzza, a suo giudizio, non è di particolare rilevanza (…)”.
Il secondo: “Il dott. Di Matteo ha manifestato la sua contrarietà alla richiesta di piano provvisorio di protezione sia perché essa attribuirebbe alle dichiarazioni di Spatuzza una connotazione di attendibilità che ancora non hanno, sia perché le dichiarazioni di Spatuzza potrebbero mettere in discussione le ricostruzioni e le responsabilità delle stragi, ormai consacrate in sentenze irrevocabili, sia perché l’attribuzione, allo stato, di una connotazione di attendibilità alle dichiarazioni di Spatuzza potrebbe indurre l’opinione pubblica a ritenere che la ricostruzione dei fatti e le responsabilità di essi, accertate con sentenze irrevocabili, siano state affidate alle dichiarazioni di falsi pentiti protetti dallo Stato, e potrebbe, per tale ultima ragione, gettare discredito sulle istituzioni dello Stato, sul sistema di protezione dei collaboratori di giustizia e sugli stessi collaboratori della giustizia”.
Quindi nella relazione della Commissione Antimafia di Fava si conclude con gravissime insinuazioni sulla natura delle considerazioni, al tempo, del pm Di Matteo.
Partiamo da una premessa che è stata omessa. Il magistrato palermitano non è stato mai iscritto nel registro degli indagati per il depistaggio sulla strage di via d’Amelio. E’ ovvio che con queste affermazioni si cerca di tirare in ballo il consigliere togato in una vicenda che non lo riguarda.
E’ vero che nel 2009 ha espresso quelle considerazioni, ma gravemente la Commissione regionale di Fava omette ciò che è avvenuto dopo, con una ricostruzione che è parziale e che condiziona le possibili valutazioni sulla vicenda.
Ci spieghiamo meglio.
Le difficoltà di Spatuzza per ottenere la patente di attendibilità sono state ripercorse dalla Commissione regionale antimafia ricordando come nel 2010 la Commissione centrale del Viminale per la definizione e applicazione delle misure speciali di protezione, allora presieduta da Alfredo Mantovano, non lo ammise nel programma di protezione definitivo. E soltanto successivamente il Tar accolse il ricorso del collaboratore di giustizia.
Perché fu revocato il programma di protezione a Spatuzza?
Perché aveva fatto delle dichiarazioni su due figure di primissimo piano riferendo alla fine del 2009, nell’aula bunker di Torino, dell’incontro avuto con Giuseppe Graviano, prima dell’attentato allo stadio Olimpico. “Con espressione gioiosa – raccontò l’ex boss di Brancaccio di fatto parlando della trattativa Stato-mafia – Giuseppe Graviano mi riferisce che abbiamo chiuso tutto e ottenuto quello che volevamo grazie alla serietà delle persone che ci hanno messo il Paese nelle mani”. Com’è noto, le persone in questione sono Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (oggi entrambi indagati a Firenze come mandanti esterni sulle stragi) con il secondo che è condannato definitivo per concorso esterno e a dodici anni in primo grado proprio per “attentato a corpo politico dello Stato”.
Dichiarazioni che erano al di fuori dei 180 giorni previsti da una legge (assurda) in cui si delimitano i tempi per cui un collaboratore di giustizia deve dire tutto ciò che sa alla magistratura inquirente.
Quella mancata ammissione al programma di protezione fu contestata duramente proprio dal magistrato Nino Di Matteo, all’epoca pm della Dda di Palermo e presidente della giunta distrettuale dell’Anm, che si espose in più sedi proprio per difendere e promuovere il programma di protezione e l’attendibilità di Spatuzza.
“Per quanto ricordi, è la prima volta che si nega l’ammissione al programma di protezione per i pentiti in presenza della richiesta di ben tre Procure della Repubblica – disse nel giugno 2010 Di Matteo -. Comunque, la valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni resta di competenza delle autorità giudiziarie che hanno sentito e continueranno a sentire Gaspare Spatuzza”.
Ma di questo nulla si riporta nella relazione della Commissione parlamentare antimafia. Una grave omissione, che dimostra una certa faziosità nella ricostruzione.
Le valutazioni nel 2009, appare evidente, venivano effettuate nell’attesa dei dovuti riscontri. Una prassi.
Ed è gravemente scorretto, prima ancora verso i cittadini che meritano di essere messi a conoscenza di tutti i fatti, effettuare ricostruzioni parziali condite da pericolose insinuazioni.
da Antimafia2000