di Gionata Chatillard
Non è andato proprio liscio il tentativo di trasferire negli Stati Uniti parte della produzione taiwanese di microchip. L’idea era quella di aprire in Arizona una sede della TSMC, colosso mondiale dei semiconduttori che sta cercando di diversificare la propria produzione anche in altri paesi occidentali, come Germania e Giappone. Il progetto statunitense era stato avviato nel 2021 con tutto il sostegno possibile della Casa Bianca. Lo stesso Joe Biden si era recato un anno fa nella fabbrica di Phoenix per benedire un’iniziativa ritenuta strategicamente fondamentale per poter contenere la Cina e le sue aspirazioni di riunificazione con Taiwan.
Ciononostante, le operazioni in Arizona sono andate a rilento, tanto da obbligare a posticipare la produzione di circuiti integrati maturi dal 2024 al 2025. Un ritardo dovuto in parte ai costi dell’operazione, che sono 4 o 5 volte superiori a quelli di Taiwan. Ma ad aver pesato è anche il fatto che i generosi sussidi promessi dalla Casa Bianca non sono ancora arrivati nelle casse della TSMC. Per non parlare poi del grattacapo della forza lavoro. La compagnia taiwanese non ha infatti trovato personale disposto ad accettare le condizioni lavorative imposte dall’azienda, finendo per irritare anche i sindacati statunitensi.
Un mezzo disastro, insomma, che ha già anche lasciato una vittima sul suo percorso: niente meno che Mark Liu, presidente della TSMC che probabilmente ha pagato in questo modo il ritardo accumulato sul progetto in Arizona. Un ritardo che invece la TSMC non sta conoscendo in Giappone, dove l’apertura della nuova sede di Kumamoto va talmente a gonfie vele che sarà addirittura anticipata rispetto alle previsioni iniziali.
In attesa di sapere come si svilupperanno le cose in Germania e nonostante gli intoppi sperimentati in casa, gli Stati Uniti stanno comunque cercando di allontanare fisicamente da Taiwan almeno una parte dei suoi semiconduttori, scongiurando la possibilità che un’eventuale riunificazione fra Pechino e Taipei possa consegnare alla Repubblica Popolare Cinese le chiavi della produzione mondiale dei microchip.
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