di Jeff Hoffman
Se la “riservatezza” serve a celare crimini di guerra, prevale il dovere del funzionario di denunciarli e il diritto del giornalista di renderli pubblici a prescindere dallo scoop. Questo uno dei passaggi della lettera che 25 diplomatici italiani hanno inviato al governo affinché intervenga con la Casa Bianca a favore della liberazione del giornalista cofondatore di Wikileaks, Julian Assange.
Ricordando i più noti casi coperti da Wikileaks, su cui i maggiori quotidiani internazionali si tuffarono, i rappresentanti del mondo diplomatico hanno fatto notare che, senza Julian Assange, il “crimine del silenzio” sugli orrori commessi dai militari in Irak e in Afghanistan sarebbe stato ignorato.
D’altro canto, occupando il ruolo di vice-presidente degli Stati Uniti Joe Biden riconobbe che le rivelazioni di WikiLeaks non avevano provocato “alcun danno sostanziale”, hanno poi precisato i diplomatici facendo notare che, nonostante questo, Assange è ancora detenuto a Londra nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh.
Il governo italiano può intervenire con il presidente degli Stati Uniti perché rinunci a qualunque azione giudiziaria contro il giornalista, è il suggerimento avanzato nella diplomatica missiva.
Unendosi agli appelli lanciati dalle organizzazioni umanitarie i diplomatici si sono dichiarati convinti che le democrazie prosperano solo se hanno il coraggio di guardarsi allo specchio.
Benvenuti gli appelli ma il problema, a quanto pare, è che gli specchi sono infranti e l’immagine riflessa è, a dir poco, distorta.