Il governo Meloni fa un favore alla mafia, varata la legge sul ponte di Messina
- di Giorgio Bongiovanni
Sabato scorso a Messina centinaia di cittadini e giovani hanno partecipato al corteo per dire “No” alla costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Un’opera inutile, dannosa per il territorio, che viene calata dall’alto per questioni economiche, politiche e geopolitiche. L’evento con cui i partecipanti hanno voluto “
rifiutare le scelte coloniali imposte dalle istituzioni centrali
- ” è stato
Il dibattito sulla questione è aperto da tempo, ma l’accelerazione per la costruzione è avvenuta soprattutto negli ultimi mesi per bocca del ministro per le Infrastrutture Matteo Salvini.
“Stiamo sbloccando centinaia di opere” e tra queste “c’è un ponte che sarà il ponte tra Palermo, Roma, Milano e Berlino. Un ponte che dà fastidio a tanti e invece io penso che darà fastidio alla mafia perché porterà sviluppo e lavoro vero in terre che ne hanno voglia” aveva affermato durante la scuola di formazione politica della Lega a Milano, pochi giorni dopo l’approvazione in Senato del cosiddetto “decreto ponte” (103 a favore, contrari 49, tre gli astenuti), recante disposizioni urgenti per la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina, collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria.
Un ministro che parla e straparla, appoggiandosi su frasi fatte, di cose che evidentemente non conosce, nonostante sia stato in passato anche ministro degli Interni, nel momento in cui è persino arrivato ad affermare che la realizzazione della Grande Opera sarà immune da assalti mafiosi e anzi costituirà di per sé un’arma contro il potere mafioso.
Al di là della discutibile fattibilità del progetto, che prevede un ponte sospeso e con una lunghezza della campata centrale di 3.300 metri, fare certe affermazioni è fuori da ogni logica se non addirittura folle.
Come se storicamente Cosa nostra e la ‘Ndrangheta non si siano mai accaparrate proprio gli appalti pubblici nella costruzione delle infrastrutture, degli ospedali, nel campo dell’urbanistica e così via.
Anche volendo essere d’accordo con la realizzazione del ponte (e non lo siamo) certo non sarebbe questa la prima infrastruttura da compiere in una terra (la Sicilia) dove allo stato vi sono ferrovie con un unico binario ed i tempi di percorrenza dei collegamenti su gomma sono indecenti sia nel tratto Palermo-Messina che nel tratto Catania-Palermo. Per non parlare, poi, delle enormi problematiche evidenziate da geologi ed esperti sulla non fattibilità dell’opera.
La “grande opera” che interessa la mafia
Lo abbiamo spiegato più volte nel nostro giornale. Il ponte sullo stretto di Messina è una di quelle opere su cui le nostre mafie hanno messo gli occhi da tempo.
A raccontarlo sono diverse inchieste e le relazioni della Dia che si sono susseguite nel corso degli anni. Basta leggerle per comprendere il ruolo che la criminalità organizzata potrebbe avere nella costruzione di questa grande opera.
Nel 1998 la Dia affermava di essere “preoccupata dalla grande attenzione della ‘Ndrangheta e di Cosa Nostra per il progetto relativo alla realizzazione del ponte sullo Stretto”. “Appare chiaro – aggiunge la Direzione Investigativa Antimafia – che si tratta di interessi tali da giustificare uno sforzo inteso a sottrarre il più possibile l’area della provincia di Messina all’attenzione degli organismi giudiziari ed investigativi”.
Pochi anni dopo, nel 2000, sempre la Dia segnalava che “le famiglie di vertice della ‘Ndrangheta si sarebbero già da tempo attivate per addivenire ad una composizione degli opposti interessi che, superando le tradizionali rivalità, consenta di poter aggredire con maggiore efficacia le enormi capacità di spesa di cui le amministrazioni calabresi usufruiranno nel corso dei prossimi anni”.
La manifestazione contro la costruzione del ponte sullo stretto © ACFB
Addirittura, guardando alle ingenti somme previste dai fondi europei, gli investigatori ipotizzavano l’esistenza di vere e proprie “intese fra Cosa nostra e ‘Ndrangheta ai fini di una più efficace divisione dei potenziali profitti”.
Un’altra relazione della Dia, nel 2005, affermava che “la mafia è pronta ad investire il denaro del narcotraffico nella costruzione del ponte sullo stretto di Messina”.
Ed è proprio grazie al narcotraffico di cui la ‘Ndrangheta è leader che le organizzazioni criminali detengono grandissime disponibilità di denaro. Quella relazione si basava particolarmente su quanto dimostrato dall’inchiesta “Brooklyn” in cui si individuava un’operazione concepita da Cosa nostra per riciclare 5 miliardi di euro provenienti dal traffico di droga proprio nella realizzazione dell’infrastruttura.
È in quell’inchiesta che compariva il nome dell’italo-canadese ingegner Zappia. Un personaggio con una lunga esperienza nel campo delle grandi opere che in un’intercettazione affermava anche che qualora fosse riuscito a fare il ponte avrebbe fatto tornare don Vito Rizzuto (oggi deceduto) e al tempo figura chiave dell’internazionalizzazione di Cosa nostra.
Le pratiche mafiose
No, guardando alla realizzazione delle grandi opere il problema va oltre alla pratica della “messa a posto”, dell’accaparramento di subappalti, della fornitura di materiali, del reclutamento di manodopera o affini.
Il livello raggiunto oggi dalle organizzazioni criminali, infatti, dimostra l’evoluzione della mafia che mira sempre più all’universo finanziario e che è capace di insinuarsi all’interno di grandi gruppi imprenditoriali.
Le più recenti inchieste sulle grandi opere, come quella sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, avevano spesso messo in evidenza un forte intreccio di interessi tra grandi imprese, famiglie mafiose, storiche ed emergenti, politici e amministratori.
Nel 2016 l’operazione “Sansone”, che aveva smantellato il clan Condello di Archi, aveva mostrato proprio gli interessi dei boss per le trivelle necessarie alle opere propedeutiche al ponte che dovrebbero, per l’appunto, collegare Calabria e Sicilia.
In un’altra inchiesta che vedeva Impregilo accusata di falso in bilancio, false comunicazioni sociali ed aggiotaggio (indagini poi archiviate) vi era un’intercettazione telefonica in cui l’economista Carlo Pelanda, proprio alla vigilia dell’apertura delle buste per l’affidamento della gara d’appalto per il ponte, annunciava all’allora presidente di Impregilo, Paolo Savona, l’imminente vittoria dell’azienda (“La gara per il ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo”).
E in quella stessa telefonata Pelanda spiegava di avere avuto assicurazioni in merito dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, già presidente di Publitalia ed amministratore delegato di Mediaset poi condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa (oggi anche indagato per le stragi del 1993).
Certo è che il business che ruota attorno al ponte sullo stretto è gigantesco.
Basta ricordare che da quando è stato firmato il contratto, era stato messo nero su bianco che nel caso che il progetto si fosse arenato per problemi economici o giudiziari, lo Stato avrebbe dovuto pagare una penale del 10% pari a 460 milioni di euro.
Cifre impressionanti.
Plastico del ponte sullo stretto Messina-Reggio Calabria © Imagoeconomica
Questione ambientale
A chi sostiene che il ponte andrebbe fatto vogliamo ricordare il terribile impatto ambientale che avrebbe sul territorio un’opera di questo genere.
In pochi sanno che nel 2003 fu elaborata dal Comune di Messina una relazione tecnico-urbanistica per descrivere gli impatti sul territorio dei lavori di realizzazione del ponte dello stretto.
Un documento di cui ha parlato più volte il collega Antonio Mazzeo in cui si riferisce di “gravi dissesti ambientali, della trasformazione di aree abitate in cave e discariche, l’assoggettamento di interi comuni della Sicilia orientale ai cantieri del manufatto“. Non solo. Si parla anche di “intere colline sventrate, boschi che si trasformano in enormi discariche di inerti, viadotti e piloni innalzati su complessi edilizi ed impianti sportivi, persino un cimitero investito dalle colate di cemento armato. Un territorio lacerato da decine di cantieri a cielo aperto, villaggi antichissimi devastati da tralicci e cavi d’acciaio, le arterie centrali di una città, già ostaggio dei mezzi pesanti, spezzate da gallerie e reti ferroviarie“.
Il Sì al ponte frutto di un nuovo dialogo Stato-mafia?
Ma perché oggi si è arrivati al fatidico “sì” a questa grande ed inutile opera? Quali sono i motivi reali?
Il sospetto forte, lo diciamo senza mezzi termini, è che rientri anch’esso all’interno di nuovi dialoghi e trattative.
E non mancano i motivi di tensione. Gli antichi padrini aspettano ancora che si chiuda la partita sull’ergastolo ostativo ed il 41bis, nella speranza mai persa di uscire dal carcere.
E la morte di Berlusconi può portare anche ad un’intensificazione delle tensioni. Basta leggere tra le righe dei messaggi che Cosa nostra trasmette da dietro e fuori le sbarre.
Dapprima c’era stato direttamente il boss Giuseppe Graviano. Il boss di Brancaccio rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo nel processo ‘Ndrangheta stragista, aveva fatto una serie di affermazioni su Berlusconi raccontando dei rapporti di natura economica che la sua famiglia avrebbe avuto con l’ex premier, riferendo dell’esistenza di una carta scritta e di almeno tre incontri avuti durante la propria latitanza. Tutti fatti sempre categoricamente smentiti da Berlusconi e dai suoi legali anche se non risulta che l’ex premier abbia mai querelato il capomafia.
Poi Graviano ha deciso di non parlare più. E al suo posto è sopraggiunto Salvatore Baiardo, il gelataio di Omegna che dei boss di Brancaccio aveva curato proprio la latitanza negli anni Novanta. Baiardo, divenuto famoso per l’annuncio profetico in novembre di un imminente arresto di Matteo Messina Denaro, colpito da una grave malattia, a due giornalisti come Massimo Giletti e Paolo Mondani ha riferito dell’esistenza di una fotografia che ritrarrebbe proprio Berlusconi assieme a due persone: il generale dei carabinieri Francesco Delfino e, per l’appunto, Giuseppe Graviano.
L’ipotesi che tramite la voce di Baiardo era in corso un tentativo ulteriore, da parte di Cosa nostra, di condizionare anche l’attività di Governo, è tutt’altro che peregrina.
E il tutto non avveniva in maniera segreta o occulta, ma, tra il dire ed il non dire, in diretta televisiva. Ed è chiaro che Graviano, tramite il proprio “portavoce”, puntasse in alto.
Al Governo, infatti, una delle forze di maggioranza è quella Forza Italia fondata da un uomo della mafia come Marcello Dell’Utri e da quel Silvio Berlusconi che, come dimostrato nelle sentenze, versava nelle casse di Cosa nostra laute somme di denaro.
Dunque, Cosa nostra dialoga cercando risposte concrete da quello che è il “suo” partito di riferimento.
E il Governo inizia a rispondere. Un primo atto potrebbe essere rappresentato dalla riforma della giustizia di Nordio che, se approvata in Parlamento, con la stretta sulle intercettazioni può essere anche un favore a mafie e sistemi criminali connessi. Un secondo atto può essere proprio l’approvazione del decreto ponte, con una pioggia di appalti pronti ad essere sfruttati tanto in Sicilia quanto in Calabria. Piccioli utili che fanno comodo tanto quanto quelli che si ricavano dal grande traffico di droga. E le mafie, come ben sanno fare, sono pronte a gettarsi a capofitto con i propri “servizi”. Ecco perché il ponte sullo stretto di Messina non è solo una questione di Stato, ma di Stato-mafia.
da Antimafia2000
https://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giorgio-bongiovanni/96030-il-governo-meloni-fa-un-favore-alla-mafia-varata-la-legge-sul-ponte-di-messina.html