di Elisa Angelone
La solidarietà europea all’Ucraina, evidentemente, ha dei limiti. Temi divisivi, in questo senso, sono l’abolizione, da parte dell’Unione europea, dei dazi doganali e altre restrizioni sulle importazioni di grano ucraino. Grano che così, come ormai è risaputo, invece che fluire verso i paesi più bisognosi come previsto dal famigerato accordo sul grano con la Russia, finisce invece sui mercati europei…a discapito dei produttori agricoli locali.
Una decisione, quella di Bruxelles, volta a sostenere Kiev e allo stesso tempo a garantire all’Unione grano a buon mercato. Peccato tuttavia che questo slancio di solidarietà all’Ucraina finisca per influenzare gli equilibri dei mercati a livello nazionale, danneggiando l’agricoltura locale e portando, in alcuni paesi dell’Europa centro-orientale, a tensioni che sono infine sfociate in vere e proprie proteste.
E’ il caso della Polonia, dove fin dallo scorso anno gli agricoltori hanno protestato contro il trattamento privilegiato riservato all’Ucraina, chiedendo di reintrodurre tariffe sulle importazioni di cereali ucraini. Proteste analoghe hanno interessato anche altri paesi produttori di grano quali Ungheria, Romania, Bulgaria e Slovacchia, dove i prodotti agricoli provenienti in abbondanza dall’Ucraina hanno contribuito ad abbassare eccessivamente i prezzi mettendo così a rischio l’intero settore agricolo locale che non può reggere la concorrenza.
Il ministero dell’Agricoltura polacco, lo scorsa settimana, aveva persino convocato l’unità di crisi per trovare una soluzione alla spinosa questione del grano.
Si è così giunti lo scorso 15 aprile alla decisione da parte di Varsavia, seguita subito a ruota da Budapest, di vietare temporaneamente le importazioni di prodotti agricoli e altri alimenti dall’Ucraina nel tentativo di tutelare il settore agricolo locale. L’elenco delle merci comprende anche frutta, verdura, latticini, carne. Il divieto sarà valido fino alla fine di giugno e, nel caso di Varsavia, riguarda anche il transito dei prodotti ucraini attraverso il territorio polacco. Una misura, questa, che anche la Bulgaria starebbe valutando. La speranza condivisa è che l’Unione Europea riveda il trattamento di favore riservato alle importazioni dall’Ucraina, ma ad oggi una tale speranza sembra vana. Bruxelles ha infatti subito definito inaccettabile l’”azione unilaterale sul commercio” da parte di Polonia e Ungheria, ricordando come “la politica commerciale [sia] di competenza esclusiva dell’UE” e come, “in tempi così difficili [sia] fondamentale coordinare tutte le decisioni all’interno dell’Unione”. In questo modo Polonia e Ungheria assaporano ancora una volta il gusto di essere parte integrante del “giardino europeo”, dove gli stati membri non possono liberamente tutelare gli interessi dei propri cittadini. Budapest ha infatti inutilmente fornito a Bruxelles evidenze sulla contaminazione da tossine e ogm di carichi di cereali importati dall’Ucraina e sottoposti a controlli, facendo di fatto prevalere la profilassi nazionale (sanità pubblica) sulle normative comunitarie (libero commercio).
Kiev ha protestato contro la decisione di Budapest e Varsavia, con quest’ultima che si è sentita in dovere di ribadire il proprio immutato sostegno alla causa di Kiev e si è detta aperta al dialogo per trovare una soluzione.
Se la decisione di Budapest non sorprende, la mossa di Varsavia, in effetti, stride invece con l’impegno polacco in chiave anti-russa in Ucraina e segnala ancora una volta come la cosiddetta unità europea sia ormai solo un miraggio. In gioco ci sono interessi e obiettivi diversi, una certa stanchezza per il prolungarsi del conflitto, ma anche, con tutto questo, il destino stesso dell’Ucraina che, con lo sgretolarsi del sostegno sul fronte occidentale, appare tutt’altro che roseo.