di Elisa Angelone
Parallelamente alla lotta ai combustibili fossili e alla produzione di carne, il fronte ambientalista ha individuato un nuovo nemico: il riso.
La coltivazione del cereale più mangiato al mondo sarebbe infatti responsabile del 10% delle emissioni globali di metano. Un fatto, scrive France Presse, che non può essere ignorato se si vogliono effettivamente ridurre le emissioni di gas serra. I “colpevoli” della produzione di metano sarebbero, nello specifico, dei particolari batteri che si originano nelle risaie quando la paglia viene lasciata a marcire dopo il raccolto. Questi batteri si nutrirebbero della materia organica presente nelle risaie e produrrebbero metano.
Da qualche anno sono state avviate iniziative volte a coinvolgere i principali paesi produttori di riso in un programma di riduzione delle emissioni. La maggior parte di essi si trova, ovviamente, in Asia e a quanto pare i più grandi fra questi, ovvero Cina e India, non avrebbero aderito alle iniziative volte a trovare una soluzione al problema dei batteri. Ad essere particolarmente attivo, invece, come segnala France Presse, è il Vietnam che, secondo la stampa francese, supporta l’introduzione di un’agricoltura più sostenibile, nell’interesse del pianeta.
Chissà se anche nell’interesse del 50% della popolazione mondiale che, come informa la FAO, dipende all’80% dal riso per il proprio fabbisogno alimentare. Un alimento vitale soprattutto per i paesi in via di sviluppo, che ne sono anche i maggiori produttori. L’adozione di misure volte a regolamentare (il che spesso in gergo ambientalista significa limitare) la produzione di riso avrebbe dunque enormi effetti sulla maggior parte della popolazione mondiale.
Il tentativo di ridisegnare le nostre abitudini alimentari a immagine e somiglianza dei cosiddetti “obiettivi di sviluppo sostenibili” delineati nella nota Agenda 2030 è sempre più palese.