IL SANGUE DELLA LIBERTÀ CALPESTATO. L’angolo di Sasha
Quando ero piccola il veterinario avrebbe voluto farmi sei vaccini, per offrirmi la libertà – disse lui – di scappare senza che altri gatti mi trasmettessero il raffreddore. Mi avrebbe fatto il passaporto vaccinale, così avrei potuto viaggiare tranquillamente prendendo l’aereo con la mamma. Ma lei disse categoricamente di no. Eppure lei da piccola ha fatto tutti i vaccini, anche se ho sentito dire – forse in tv? – che quelli erano diversi da questi moderni. Comunque sia, allo stato attuale stiamo bene ma la mamma è triste. Vi racconto il perché: siccome abitiamo in città e io di solito frequento il terrazzo, dove mi diletto a distruggere qualche pianta di tanto in tanto, in estate andiamo in villeggiatura, dai nonni, dove scorrazzo in un grande giardino che sembra attendere solo me. Salto da un albero a un altro come un’amazzone – è irresistibile. Il problema è che, dato che insieme non possiamo prendere l’aereo per i motivi che vi ho appena spiegato, siamo solite prendere il treno cosiddetto ‘a lunga percorrenza’. Così, siamo arrivate a destinazione, ma pare che ci siano problemi per il rientro: io potrò tornare a casa ma la mamma no, perché non ha il green pass e, siccome lei è un’umana, dicono – sempre in televisione – che sarebbe di pericolo per tutti gli altri che, presi dalla paura, hanno abbassato le loro difese immunitarie con un vaccino sperimentale. Quindi, anche se mi sembra tutto così assurdo, io, che sono una gatta, sono libera, mentre la mamma, che è un umano, dovrebbe fungere da cavia per essere connessa con il nuovo mondo che verrà.
D’altronde, sempre quando ero piccola, Giulietto mi aveva spiegato che presto sarebbe arrivato il momento in cui i padroni universali, che temono di perdere il controllo di una società che sta per scomparire nell’abisso, inghiottita dalle sue stesse contraddizioni, avrebbero guidato un cambio di paradigma di cui non è stata capace quella voragine dei cittadini, vissuta nella “società dello spettacolo”, così come definita da Guy Debord, lasciandosi trasportare da “nani e ballerine”. Quando ne parlavamo sapevamo che avrebbero fatto leva sui sentimenti, ma non avevamo ancora compreso del tutto che il panico sarebbe stato il pretesto ideale per portarci in una guerra fratricida ed epidemica. Ora lo sappiamo e la mamma è certa: siamo solo all’inizio e dovremo difenderci, con la forza delle idee, prima che si versi il sangue. Quello stesso che è stato prima versato per la poesia della vita da chi si è rifugiato in montagna e poi è stato brutalmente calpestato da una servitù organizzata, che ama il soldo, ma dimentica il sacrificio e si separa dall’uomo e dallo spirito. Il mio bisnonno, che si chiamava Giovanni, il nonno della mamma, in quelle montagne è caduto, ha donato il suo sangue non perché io vedessi masse insignificanti lottare contro i propri simili, incapaci di capire che nei rapporti umani, tutti, c’è la certezza della vita, “la durata dell’eredità e delle generazioni”, come seppe ben descrivere Primo Levi in ‘Paura e libertà’.
Per questo, noi non abbiamo paura, perché sappiamo che la via per la Verità è tracciata nei nostri spiriti, pervasi di quel profondo coraggio che nonno Giovanni e Giulietto ci hanno lasciato in eredità.