di Margherita Furlan e Fabio Belli
La chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, nel sud di Gaza, dove si erano rifugiati centinaia di cittadini palestinesi, è stata presa di mira e distrutta da attacchi aerei israeliani.
Decine di persone potrebbero essere sotto le macerie di un edificio vicino alla chiesa; un primo bilancio è di 18 morti di cui 8 bambini. Il Patriarcato di Gerusalemme ha subito accusato Israele di crimini di guerra.
La chiesa, una delle più antiche e simbolo del cristianesimo della regione, costruita all’inizio del V° secolo, è sopravvissuta al declino del Regno di Gerusalemme e del Califfato, all’Impero Ottomano e a due guerre mondiali, ed è stata ricostruita più volte. «Il bombardamento della storica chiesa di San Porfirio a Gaza, dove si rifugiavano donne e bambini, è l’ultimo crimine del regime dell’apartheid». A scriverlo su X, in difesa di tutte le religioni, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian. «Il comportamento brutale di questo regime odioso, nella profanazione delle religioni e nell’attacco al patrimonio storico e culturale umano – continua – è simile a quello dei gruppi terroristici e dell’Isis».
Intanto, nonostante la presa di posizione filo israeliana di Washington e dei vassalli occidentali, Israele avrebbe modificato i piani della campagna di terra a Gaza a causa delle pressioni e dei malumori del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. È quanto riporta Bloomberg, secondo cui
da oltre oceano sarebbero preoccupati per l’allargamento del conflitto.
La base americana di Al-Tanf, situata in Siria al confine con Iraq e Giordania, è stata attaccata ieri da 3 droni. La base di Conoco nella provincia di Deir ez-Zor è stata colpita da razzi. L’attacco è stato rivendicato dai militanti del gruppo Resistenza Islamica dell’Iraq. La nave da guerra della Marina americana in servizio nel Mar Rosso, la USS Carney, ha intercettato tre missili da crociera provenienti dallo Yemen. Il conflitto che colpisce il paese più povero al mondo, dove gli sciiti Houthi combattono contro una coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti, continua a rappresentare una delle fonti di instabilità nella regione. L’incidente nel Mar Rosso solleva quindi ancora di più la questione di come questa instabilità possa propagarsi considerando la possibilità che l’invasione di Gaza da parte di Tel Aviv rappresenta un punto di non ritorno. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha illustrato le tre fasi della guerra. La prima, già in corso, una campagna aerea, seguita da un’operazione di terra, e poi da una campagna a minore intensità per “eliminare sacche di resistenza” , e infine “la creazione di un nuovo regime di sicurezza nella Striscia di Gaza, con la rimozione della responsabilità di Israele per la vita quotidiana nella Striscia di Gaza. Una nuova realtà di sicurezza per i cittadini di Israele che tradotto significa, una nuova Nakhba.
Inoltre, secondo quanto riporta The Times of Israel, il governo israeliano ha approvato norme di emergenza per chiudere i media stranieri con l’obiettivo principale di silenziare la filiale locale di Al Jazeera.
Poiché Israele è in guerra, “non permetteremo in alcun modo trasmissioni che danneggino la sicurezza dello Stato”, ha in sostanza affermato il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi secondo il quale i servizi dell’emittente qatarina costituirebbero un aiuto ad Hamas.
Nel frattempo, il valico di Rafah resta chiuso e migliaia di persone continuano a manifestare in favore della popolazione di Gaza in Egitto, in Libano, in Turchia, in Irak, in Indonesia, in Sud Corea, mentre Italia, Grecia, Spagna e Cipro saranno i Paesi europei a essere rappresentati a livello di capi di Stato o di governo al vertice organizzato domani al Cairo dal presidente egiziano al Sisi sulla crisi tra Israele e Hamas.