di Gionata Chatillard
È stato un altro fine settimana di sangue quello trascorso a Gaza sotto le bombe dell’Esercito israeliano. Secondo i dati dell’ONU, i morti sono già oltre 4.000, per la maggior parte donne e bambini. Un milione e mezzo sono invece gli sfollati interni, dal momento che il 40% delle abitazioni della Striscia è stato raso al suolo. Il Governo di Benjamin Netanyahu ha d’altronde avvertito che l’offensiva andrà per le lunghe, anche se per il momento l’occupazione terrestre continua a essere rimandata.
Uno degli obiettivi principali delle forze armate israeliane erano i tunnel utilizzati come rifugio dai miliziani palestinesi. Nelle ultime ore, però, le bombe non hanno risparmiato né gli ospedali, né il campo profughi di Jabalya, nel nord di Gaza. Ma non solo. L’offensiva ha colpito infatti anche una moschea a Jenin e altri obiettivi in Cisgiordania, dove i morti sono già un centinaio. Le operazioni si sono poi allargate a tutti i paesi confinanti, con la sola eccezione della Giordania.
Se a sud si sarebbe trattato di un errore, con le forze israeliane che hanno subito chiesto scusa a El Cairo dopo aver ferito accidentalmente diverse guardie di frontiera egiziane con un carro armato, ben diversa è la situazione a nord, dove l’Esercito ha preso nuovamente di mira obiettivi siriani e libanesi. Nel primo caso, l’agenzia locale Sana informa che le bombe sono tornate a cadere sugli aeroporti di Damasco e di Aleppo, uccidendo una persona. Per quanto riguarda invece il Libano, l’Esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito una “cellula terrorista” lungo il confine per prevenire un attacco. Il tutto mentre Netanyahu minaccia pesanti conseguenze per tutto il Paese dei Cedri -ma anche per l’Iran- qualora Hezbollah decida di intervenire nel conflitto.