di Gionata Chatillard
Cresce l’isolamento di Israele sul piano internazionale. Sono infatti sempre di più i paesi che parlano apertamente di “genocidio” del popolo palestinese. Alcuni decidono di rompere le relazioni diplomatiche con il Governo di Benjamin Netanyahu. Altri entrano invece direttamente in guerra, come lo Yemen, che ha annunciato di aver già lanciato diversi missili contro obiettivi israeliani. “E gli attacchi”, avvertono, “andranno avanti finché l’aggressione contro Gaza non cesserà”.
Per Netanyahu, però, i problemi arrivano anche da più vicino. E per di più da un alleato chiave per gli Stati Uniti come la Giordania. Se recentemente la regina Rania aveva criticato il doppio standard occidentale riguardo ai conflitti internazionali, adesso è il Governo di Amman a richiamare il suo ambasciatore, consigliando peraltro a quello israeliano di evitare di tornare nel paese arabo.
Ancora più esplicito è stato il Bahrein, che ha deciso non solo di richiamare il proprio rappresentante, ma anche di interrompere tutte le relazioni economiche con il paese di Netanyahu. Una brusca retromarcia che arriva a soli 3 anni dalla firma degli Accordi di Abramo, con cui la piccola monarchia araba aveva allacciato ufficialmente rapporti diplomatici con Israele.
Dall’altra parte dell’Oceano, è stata invece la Bolivia a tagliare ufficialmente i ponti con l’Esecutivo di Netanyahu, dopo che le relazioni diplomatiche fra i due paesi erano state ristabilite nel 2019 dal Governo golpista che aveva spodestato Evo Morales. Ora si torna quindi alla situazione precedente, ma adesso a prendere le distanze da Israele non c’è solo La Paz. Se il presidente colombiano Gustavo Petro non ha esitato a definire Netanyahu un “criminale”, quello cileno Gabriel Boric ha parlato di “inaccettabili violazioni del diritto umanitario internazionale”, sottolineando -assieme al brasiliano Lula da Silva- come bambini e civili innocenti siano le principali vittime dell’offensiva scatenata contro Gaza.