di Margherita Furlan e Fabio Belli
Il gabinetto di sicurezza israeliano ha dato al premier Benjamin Netanyahu e al ministro della Difesa Yoav Gallant il potere di decidere l’entità e la tempistica della risposta contro Hezbollah, dopo il lancio del missile che sabato ha ucciso 12 bambini in un campo di calcio nella città di Maidal Shams, sulle Alture del Golan. L’organizzazione sciita continua a negare qualsiasi coinvolgimento nell’attacco ma anche gli USA hanno confermato la sua responsabilità. Nulla da ridire invece dopo che Israele ha distrutto Gaza con almeno 40mila vittime, di cui più della metà donne e bambini.
Il Partito di Dio nega ogni coinvolgimento nel raid su Majdal Shams, anche perché il villaggio è abitato da una popolazione a maggioranza drusa in territori annessi da Israele, ma in maniera illegale secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite. Non a caso, il ministro degli Esteri libanese (indipendente) Abdullah Bu Habib ipotizza che l’uccisione dei bambini possa essere il frutto di un errore israeliano o di “un’altra organizzazione” ed esclude “l’ipotesi che Hezbollah abbia condotto l’attacco perché, dall’inizio del conflitto nel sud, non ha attaccato luoghi civili, ma solo postazioni militari”. Motivo per cui ha chiesto un’indagine internazionale o la convocazione del Comitato tripartito di Unifil per chiarire quanto accaduto. Washington parallelamente è al lavoro per evitare un’ulteriore escalation nell’area e ha avvertito Israele che se colpisse Beirut “la situazione diventerebbe fuori controllo”. Ieri mattina però Israele aveva già lanciato degli attacchi aerei contro il sud del Libano.
Il missile ha colpito un territorio formalmente appartenente alla Siria, quello delle Alture del Golan, ma sotto occupazione israeliana, e una popolazione, quella di religione drusa, i cui rappresentanti hanno spesso rifiutato la cittadinanza israeliana, ma che anche rispetto a Libano e Siria si sentono culturalmente parte di una comunità a sé stante.
Ora l’intera area corre il rischio di diventare un nuovo, ulteriore, fronte di questa guerra, dopo anni di tensioni latenti e mai sopite. Le alture del Golan sono un altopiano di grande valore strategico di cui Israele ha sottratto il controllo alla Siria durante la Guerra dei Sei Giorni, nel 1967 e ha poi annesso al proprio territorio nel 1981. Oltre che per la loro dimensione, 840 chilometri quadrati, le Alture del Golan sono importanti perché confinano con Libano e Giordania e per la vicinanza rispetto alla capitale siriana Damasco, visibile dalle colline della zona.
L’Iran ha avvertito Israele che qualsiasi nuova campagna militare in Libano potrebbe portare a «conseguenze impreviste». Iran, dove è atteso domani il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, in occasione della cerimonia per l’insediamento del presidente Masoud Pezeshkian. Lo stesso ministro turco che ieri su X ha scritto: «Proprio come Hitler, che ha commesso un genocidio, ha trovato la sua fine, così Netanyahu, che ha commesso un genocidio, troverà la sua fine». Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha intanto dichiarato che il Paese sarebbe pronto a intervenire direttamente in favore dei palestinesi, come già successo in altri conflitti in Libia e in Nagorno-Karabakh. Il ministro degli Esteri israeliano, Katz, in risposta, ha paragonato Erdogan a Saddam Hussein.
Ieri sera il direttore del Mossad, David Barnea, è rientrato in Israele dopo l’incontro a Roma con il capo della Cia, William Burns, il responsabile dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel, e il premier del Qatar, Mohammed al-Thani, per sbloccare i negoziati per una tregua a Gaza: sono stati discussi i contorni della nuova proposta avanzata da Israele, mentre ulteriori colloqui sono previsti nei prossimi giorni.