di Jeff Hoffman
Paul Landis, ex agente dei servizi segreti che accompagnava JF e Jaqueline Kennedy il giorno dell’omicidio ha rivelato nuovi dettagli che confermano la tesi secondo cui, oltre Lee Harvey Oswald, a sparare contro Kennedy vi era un secondo tiratore.
A 60 anni di distanza dall’assassinio che sconvolse il mondo l’agente Landis ha scritto un libro dal titolo “the final witness”,il testimone finale, riaprendo una ferita che nel popolo statunitense non si è mai rimarginata.
Il fulcro dell’omicidio del 22 novembre 1963 ruota intorno alla presenza di un proiettile che Landis avrebbe raccolto e appoggiato sulla barella del presidente per gli agenti dell’FBI ma che la storia ufficiale descrive come “un proiettile magico” che avrebbe colpito prima il presidente poi il governatore del Texas John Connally seguendo improbabili traiettorie e nascondendo così la reale provenienza dello sparo che colpì fatalmente JFK.
A confermare la presenza di un secondo sicario ci avevano già pensato, negli anni, 4 testimoni le cui dichiarazioni sono state rigorosamente insabbiate. Il primo, Howard Hunt, ex agente della CIA, lasciò in eredità al figlio una confessione registrata. Tosh Plumlee, altro agente della CIA, che accompagnò a Dallas i mafiosi che presero parte all’attentato. Chauncey Holt, il tipografo che preparò i falsi distintivi per i finti agenti dei servizi segreti, e lo stesso sicario, James Files, che confessò di aver sparato il colpo fatale dalla collinetta sovrastante.
Nel frattempo, in attesa di una verità ufficiale da consegnare alla storia, agli studenti di questo mondo libero e democratico viene insegnato che ad assassinare il presidente John Fitzgerald Kennedy è stato, da solo, l’ex militare criminale psicopatico, Lee Harvey Oswald, definendo la reale ricostruzione dei fatti una “teoria del complotto”.