La Cina guida l’escalation verso il 6G

Il G5 sembra appena arrivato, eppure è già obsoleto. Sono infatti decine di migliaia le domande di brevetto già depositate per il 6G, futuro standard tecnologico della telefonia mobile. E chi guida la classifica è la Cina, da dove proviene il 40% delle richieste. La maggior parte di queste è stata presentata da Huawei e da altre due compagnie statali del paese asiatico. Seguono, per numeri di brevetti depositati, gli Stati Uniti, con circa il 35%, e il Giappone, con circa il 10%.

Più lontana l’Unione Europea, con il 9%. Il Vecchio continente non sembra particolarmente interessato ad avere un ruolo da protagonista nello sviluppo del 6G, una nuova tecnologia basata su onde ad alta frequenza in grado di raggiungere velocità 100 volte superiori a quelle del 5G. Bruxelles, che da anni spinge sulla digitalizzazione a marce forzate, non sembra però in grado di prendere le redini della transizione al nuovo standard e si limiterà probabilmente a regolarne l’uso. Nel frattempo è già passato quasi un anno da quando Pechino ha mandato in orbita il primo satellite per il 6G.

Con o senza leadership europea, la corsa all’ultima tecnologia telefonica avanza senza pause verso quell’ “internet delle cose” i cui vantaggi per l’essere umano non sono ancora del tutto chiari. Eppure, la burocrazia comunitaria ha già deciso che il 6G sarà il fondamento basilare della società futura. Lo dicono i documenti ufficiali dell’Unione Europea, che per raggiungere gli obiettivi del green deal sembra disposta a riempire il cielo di satelliti, la terra di antenne e l’aria di radiazioni. Il tutto in nome della sostenibilità ambientale.

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