di Gionata Chatillard
Sarà anche per la campagna elettorale che si avvicina, ma il consenso bipartisan in politica estera sembra ormai essere un lontano ricordo per l’establishment statunitense. Se qualche crepa era già venuta fuori con il conflitto in Ucraina, la questione delle relazioni con la Cina sembra aver ingrandito ulteriormente le divergenze. Con una differenza fondamentale: mentre nei confronti di Mosca i più guerrafondai erano i democratici, nei confronti di Pechino i ruoli sembrano essersi ribaltati, con i repubblicani a recitare adesso il ruolo dei falchi.
Che la crescita della Cina sia la principale sfida che dovranno affrontare gli Stati Uniti nei prossimi anni non sfugge a nessuno. È tuttavia su come affrontare questa sfida che le divergenze sembrano inconciliabili. I democratici si mostrano infatti disposti a mantenere i canali diplomatici aperti, seguendo l’esempio dato dallo stesso Joe Biden un mese fa, quando il presidente si era visto faccia a faccia a San Francisco con il suo omologo Xi Jinping. Una posizione che non implica affatto la rinuncia alle sanzioni contro Pechino, ma che cerca comunque un approccio più morbido a una questione che altrimenti rischierebbe di dover essere risolta con le armi nelle acque del Pacifico Occidentale.
In questo senso, i democratici preferiscono parlare di “de-risking”, ovvero di riduzione del rischio, piuttosto che di un disaccoppiamento vero e proprio sulla falsariga di quanto già avvenuto con la Russia nel 2022. In ballo, d’altronde, ci sono oltre 750 miliardi di dollari all’anno in scambi commerciali tra Cina e Stati Uniti. Una cifra di ben poco conto per quei repubblicani che vedono invece in Pechino una minaccia in termini di sicurezza nazionale. Sono infatti i falchi conservatori a chiedere severe restrizioni su TikTok, sul rilascio dei visti agli studenti cinesi, sulle attività dell’Istituto Confucio, sull’acquisto di terreni da parte di aziende della Repubblica Popolare e via dicendo.
E così, se i sondaggi degli ultimi giorni si dovessero tradurre in realtà fra un anno, l’arrivo di un repubblicano alla Casa Bianca potrebbe anche sancire il definitivo passaggio dall’emergenza russa a quella cinese. Un po’ come l’arrivo al Potere di Giorgia Meloni in Italia era praticamente coinciso con il passaggio dall’emergenza sanitaria a quella bellica. Ciò che non sembra mancare mai, in ogni caso, è l’emergenza stessa. Declinata oggi in un modo, domani in un altro, la minaccia esterna è sempre pronta all’uso dei politici di turno, siedano essi a Roma o a Washington.