di Gionata Chatillard
È il Niger il teatro dell’ennesimo colpo di Stato in Africa Occidentale. Il presidente Mohamed Bazoum è stato infatti rimosso dalla sua stessa guardia pretoriana, che dopo aver annunciato di aver preso il Potere ha decretato il coprifuoco notturno, la chiusura delle frontiere terrestri e la sospensione di tutte le istituzioni ufficiali. Decisioni che i militari dicono di aver preso a causa del deterioramento della sicurezza e dei pessimi risultati ottenuti dal Governo a livello economico e sociale. Tuttavia, a spiegare il golpe ci sarebbe in realtà anche l’intenzione dell’ormai ex capo di Stato di destituire proprio il comandante della sua Guardia pretoriana, il generale Omar Tchiani.
Non si sono fatte attendere le reazioni dei paesi occidentali, che negli ultimi anni avevano fatto del Niger un importante bastione regionale. Ferma, dunque, la condanna del colpo di Stato da parte di Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite, sebbene proprio un rapporto dell’ONU sembri confermare le ragioni addotte dai golpisti, informando che nel paese africano le persone bisognose di assistenza umanitaria sono aumentate dai quasi 2 milioni del 2017 agli oltre 4 milioni attuali.
Gli eventi delle ultime ore sono preoccupanti in particolar modo per Parigi. Non solo perché buona parte dell’uranio importato dalla Francia arriva dal Niger, ma anche perché è proprio in questo paese che l’Esercito di Emmanuel Macron aveva deciso di dirottare le proprie truppe dopo che queste erano state cacciate dal Mali e dal Burkina Faso. Ragion per cui il golpe potrebbe anche mettere la pietra tombale su ciò che rimane della cosiddetta Françafrique. Ma non solo. In sospeso, infatti, rimangono anche gli oltre 7 milioni di euro stanziati pochi giorni fa dal Governo italiano per convincere il Niger a collaborare nella lotta all’immigrazione irregolare.
Per il momento, i golpisti hanno comunque assicurato che rispetteranno gli impegni assunti dal presidente destituito. Ma al di là delle parole, ciò che Parigi e Washington temono è che anche Niamey finisca per cacciare le truppe occidentali chiedendo invece protezione alla Russia. Sempre che la situazione, come già successo in Sudan, non si trasformi in una lunga e logorante guerra civile dagli esiti incerti.