di Jeff Hoffman
La spesa militare italiana degli ultimi dieci anni è cresciuta del 30% a fronte del 3% di aumento destinato all’istruzione. Si tratta di un salto dai 2,5 miliardi di spesa di dieci anni fa ai quasi 6 miliardi di spesa attuali.
Sul piano europeo l’aumento degli investimenti per i nuovi sistemi d’arma sono cresciuti di circa 14 volte rispetto al PIL complessivo, per una una media del 46% in più rispetto al decennio precedente.
Nel fu Belpaese l’esborso si ferma, si fa per dire, al 26% in più rappresentato, soprattutto, da acquisti di armi e mezzi militari gentilmente forniti dai produttori di Washington.
A dare le cifre è una nuova ricerca intitolata “arming Europe”, armare l’Europa in italiano, commissionata da un gruppo di esperti appartenenti alle sedi italiane, tedesche e spagnole di Greenpeace.
Nello specifico il report evidenzia come, nel quadro economico, l’investimento in armamenti sia deleterio non soltanto per la pace, ma per l’economia nazionale e il livello occupazionale dei singoli paesi.
Infatti, stando alle tabelle di entrate e uscite si evince che per un pari investimento di un miliardo di euro in armi, sanità, ambiente e istruzione il ritorno economico e occupazionale dell’industria militare è per l’Italia di soli 741 milioni rispetto ai circa 1.300 milioni di rientro per la Germania e di 1200 per la Spagna. I posti di lavoro aumentano di 6 mila posti fissi in Germania e esattamente della metà in l’Italia. Investendo la stessa cifra in istruzione e sanità la produzione aggiuntiva varia da 1.190 a 1.380 milioni di euro. Nel contesto occupazionale un investimento di un miliardo di euro produrrebbe nell’area europea circa 11.000 nuovi posti di lavoro nel settore ambientale, quasi 18.000 nell’istruzione e 15.000 nel comparto sanitario, mentre per l’Italia l’aumento dei posti di lavoro andrebbero da 10.000 nei servizi ambientali a quasi 14.000 nell’istruzione, con un impatto occupazione che varia dal doppio al quadruplo rispetto all’industria della guerra.