di Gionata Chatillard
Sono 20 gli articoli del patto di sicurezza stretto da Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky. Con la firma sull’accordo, la presidente del Consiglio ha impegnato Roma a fornire assistenza militare a Kiev per almeno altri 10 anni. Il tutto scavalcando il Parlamento italiano, che su questo patto non è stato neanche interpellato dal Governo.
Nel testo, i due paesi si impegnano a lavorare per “ripristinare completamente l’integrità territoriale dell’Ucraina” attraverso la creazione e l’addestramento di forze militari in grado di respingere future “aggressioni russe”. Cosa questo voglia dire non è del tutto chiaro, dal momento che Mosca e Kiev continuano a spararsi da ormai 2 anni a questa parte, con l’Esecutivo italiano sempre in prima linea nel rifornire di armi quello ucraino. I toni dell’accordo sono infatti generici e -forse volutamente- lasciano abbondante spazio all’interpretazione. Lo stesso ministro degli Esteri Antonio Tajani ha infatti provato a minimizzare la portata dell’intesa, sottolineando come questa non sia giuridicamente vincolante, esattamente come quelle stipulate da Kiev con Londra, Parigi e Berlino. “Dal testo non derivano impegni finanziari, né sono previste garanzie automatiche di sostegno politico o militare”, ha specificato il capo della diplomazia italiana mentre spiegava al Parlamento la decisione del Governo di bypassare la ratifica in sede legislativa.
Eppure, anche se Tajani ha voluto smorzare i toni sottolineando il carattere “simbolico” dell’intesa, il documento firmato dalla Meloni apre le porte a una maggiore implicazione dell’Italia nel conflitto in Europa orientale, e probabilmente anche a un impegno diretto da parte dell’Esercito. Più che una dichiarazione di intenti, l’accordo sembra quasi una dichiarazione di guerra contro Mosca, utile a mettere nero su bianco la possibilità di adottare in futuro “misure opportune” per contrastare eventuali attacchi russi. L’intesa finisce infatti per spostare altri paletti, impegnando Roma a sostenere non solo le operazioni di guerra dell’Ucraina, ma anche il suo percorso di integrazione nell’Unione Europea e nella NATO. Un ennesimo passo, quindi, verso l’intervento diretto dell’Esercito italiano in un conflitto che l’Occidente ha già dato prova di non voler affatto evitare.